È possibile strutturare una società sul Bene comune?

di Catia Eliana Gentilucci

Il quesito è retorico. La storia insegna che non è possibile istituire una società fondata sul bene comune per diversi motivi. La prima, e forse più complessa, questione sta nella difficoltà di individuare una definizione definitiva di bene comune; inoltre, ammesso che si arrivi a una  definizione univoca, ci si imbatte nel problema del mettere d’accordo l’intera umanità nel proiettare le proprie scelte al fine di ottenere il bene comune (ammesso che l’intero aggregato umano abbia la volontà di raggiungerlo e ne percepisca lo stesso livello di urgenza); vi è, poi, la complessità (tecnologica e organizzativa) della sua attuazione; ed infine sorge la questione della spazialità delle conseguenze delle scelte collettive (la globalizzazione ha concatenato e amplificato gli effetti delle scelte collettive locali).
In sintesi, è utopistica l’idea di progettare un sistema (sociale, economico e normativo) che abbia come obiettivo non solo il bene esclusivo del singolo o di una casta, ma un bene che accomuna e coinvolga l’intera umanità.
Pur consapevoli che la questione è di lana caprina, proveremo ugualmente a ipotizzare come poter organizzare una società innovativa che tenga conto del bene comune che (qui) consideriamo essere quella configurazione (tecnologica, economica, sociale, politica) che: risponde al bisogno delle persone di avere una vita decorosa, dignitosa e soddisfacente in sintonia con il diritto di tutti gli altri esseri viventi di esistere in modo altrettanto decoroso, dignitoso e soddisfacente.
Sarà una riflessione necessaria per poter impostare, anche solo per piccole realtà locali, una struttura sociale più adeguata alle necessità sostenibili materiali e immateriali delle persone, che dia una speranza alle nuove generazioni per poter progettare il proprio futuro in base ai talenti e alle aspirazioni personali. Rifletteremo al fatto che una società strutturata sul bene comune istituisce un mondo più etico, fondato sui diritti umani e sul diritto, di tutti gli esseri viventi, ad una esistenza dignitosa.
 
Una definizione
Possiamo affermare che il bene comune è il valore costituente di una comunità e che rappresenta l’insieme delle condizioni nelle quali la società si riconosce e attraverso le quali le persone perseguono i loro obiettivi in armonia con il resto della comunità, contribuendo a garantire “la buona vita umana della moltitudine”[1].
Ma per essere tale deve venire prima del bene individuale e qualsiasi sia la sua rappresentazione (come detto sopra) deve rispondere al bisogno delle persone di avere una vita decorosa, dignitosa e soddisfacente in sintonia con il diritto di tutti gli altri esseri viventi di esistere in modo altrettanto decoroso, dignitoso e soddisfacente.
Una società fondata sul bene comune è inclusiva e aggregante e riconosce a tutti gli stessi diritti umani, civili, economici e laici. Che, al contempo, equivale anche al raggiungimento dell’apice di un progresso civile che sia anche ecologicamente sostenibile.[2]
Maritain (1980, p. 32) chiarisce che il bene comune è superiore e più importante del bene individuale ed ha come scopo l’emancipazione e il progresso civile: “ciò che costituisce il bene comune non è l’insieme dei beni e servizi di utilità pubblica o d’interesse nazionale (strade, porti, scuole, etc.) che presuppone l’organizzazione della vita comune, né le buone finanze dello Stato, né la sua potenza militare; non è soltanto il tessuto di leggi giuste, di buone usanze e di sagge istituzioni che danno alla nazione la sua struttura, né l’eredità dei suoi grandi ricordi storici, dei suoi simboli e delle sue glorie, delle sue tradizioni vive e dei suoi tesori di cultura [ma è qualcosa in più] e di più profondo (…) che racchiude anche, ed anzitutto, la somma o l’integrazione sociologica di tutto ciò che v’è di coscienza civica, di virtù politiche e di senso del diritto e della libertà, e di tutto ciò che v’è di attività, di prosperità materiale e di ricchezze dello spirito, di rettitudine morale, di giustizia di amicizia, di felicità e di virtù e di eroismo delle vite individuali dei membri della comunità”.
Se a livello concettuale possiamo abbastanza facilmente identificare le condizioni attuative del bene comune, a livello fattivo le questioni si complicano perché viene richiesto l’intervento della politica e il coinvolgimento delle posizioni ideologiche dei vari contesti culturali.
Per immaginare una società fondata sul bene comune bisogna innanzitutto pensare al mondo come luogo giusto per un’esistenza decorosa per gli uomini e per tutti gli altri esseri animali e vegetali. Noi esistiamo grazie alla compresenza di tutte le altre forme di vita, che per il bene stesso dell’umanità devono essere tutelate; possiamo, infatti, vivere in modo adeguato solo in ecosistemi adatti alla salvaguardia della nostra salute (che assicurano, in un clima di pace, acqua, cibo, energia, ossigeno, ecc.).
A ben riflettere queste sono ovvietà che, seppur ben comprese e condivise dai bambini, vengono messe in secondo piano dall’adolescenza all’età matura. Ad un certo punto della sua esistenza l’essere umano sembra, infatti, dimenticare l’abc della giusta coesistenza collettiva e sembra acuire una forza identitaria e una superbia che lo rendono tendenzialmente mediocre nelle sue scelte (svanisce il buon senso della semplicità del fanciullo). L’adulto, avido di potere e ricchezze, agisce contro il proprio benessere: da un lato, amplificando il senso della propria superba esistenza e, dall’altro, sovrastando tutto ciò che gli è prossimo e necessario per istituire un percorso di vita fondato sul rispetto del bene altrui e, di conseguenza, del proprio.
Per ideare una società sul bene comune bisognerebbe, quindi, iniziare dalla formazione e dall’educazione per radicare la consapevolezza della responsabilità sociale che tutti reciprocamente dovrebbero sentire l’uno verso l’altro.
 
Dove vogliamo andare
L’istituzione del bene comune esige di sapere dove stiamo andando e dove vorremmo che le generazioni future vadano. L’idea è di non soffermarsi solo sulle previsioni pessimiste (più facili da immaginare) ma di sforzarsi a ipotizzare scenari futuri positivi, che rappresentino una forma del mondo più convincente e adeguata a garantire una vita felice all’umanità e che risponda alle esigenze di tutte le forme del vivente globale.
È necessario un cambiamento di rotta del presente. Il senso dell’abituale (dell’eterno) è causa dell’incapacità di immaginare schemi diversi del mondo (dove, ad esempio, possono coesistere culture e tradizioni diverse, quindi più ricchi di saperi). E proprio le nuove rappresentazioni possono allontanare le rassicuranti e abituali immagini di un mondo che viene propinato come infinitamente possibile e a crescita (economica) senza limiti.
L’operazione da compiere è quella di mettere in discussione le certezze ereditate dal passato; ma è anche quella di cercare soluzioni al senso di inadeguatezza e di vulnerabilità che impera nell’attuale modernità globale (sociale, economica, geopolitica) che è troppo incerta per essere gestita.

Innovare per organizzare il bene comune
L’uomo è da sempre in grado di dare origine a qualcosa di nuovo. Si tratta di dirigere questa forza motrice innovativa, spontaneamente innata, verso la cura del mondo. Si tratta di superare l’accettazione passiva dell’esistente e di adottare una disposizione attiva verso un mondo globale pieno di senso umano.
Così, per il filosofo francese Jean-Luc Nancy bisogna creare un mondo (umano) là dove non c’è altro che un globo (asettico e utilitarista): “Un mondo è per l’appunto un posto in cui c’è posto per tutti; ma un posto autentico, un posto che rende davvero possibile esserci”.[3]
Il primo passo per un mondo alternativo è quello di rompere la logica dell’individualismo per entrare nella consapevolezza che ogni essere umano è vincolato dalle vite e dai destini dei propri simili, incluse le generazioni future; un altro passo è dato dalla consapevolezza che il futuro dell’umanità dipende dalla cura e dalla salute del suo stesso ecosistema (l’ambiente naturale) e dalla condivisione di questo con le altre forme viventi; un altro ancora è il considerare l’uomo un essere che deve vivere in relazione con i propri simili e con gli altri esseri presenti sul globo.
In questi scenari l’idea, emergente in letteratura, è di tornare al locale per agire nel riappropriarsi degli spazi, dei territori e dei tempi necessari a recuperare il senso di sé e del rapporto con il circostante.
Ciò rappresenta un processo creativo che dà fiducia alla possibilità del nuovo, del cambiamento e della trasformazione del presente e che va oltre alle barriere sociali e territoriali e alla stereotipizzazione per categorie dell’umanità.
In questo modo si potrà anche scatenare un pensiero della totalità e della molteplicità umana che getta uno sguardo olistico sul mondo: una visione del bene comune che ha origine e si radica nel locale per poi espandersi al globale.
Come? Iniziando dal locale, valorizzando le opportunità socio-economiche nel rispetto della cultura e le tradizioni dei luoghi. In questo modo il sistema economico non sarebbe più dominato dall’ideologia del valore del denaro, ma sarebbe guidato dalle necessità concrete delle persone che compongono una comunità. In questo modo si acquisirebbe la consapevolezza che nella propria comunità ogni persona è essenzialmente uguale in diritti, dignità, opportunità e doveri a tutti gli altri.
La questione discriminante è che le persone non dovrebbero essere valutate in base al possesso di ricchezze o alla loro posizione di potere, poiché tutti (poveri e ricchi, fortunati o sfortunati), tutti, hanno lo stesso diritto di portare avanti un’esistenza dignitosa, decorosa e soddisfacente.[4]
Dal locale si potrà, poi, ragionare al fatto che l'intera umanità deve avere un accesso libero all’istruzione e alla formazione secondo i propri talenti e le aspettative professionali, indipendentemente dal genere, orientamento sessuale, luogo di provenienza, credenze religiose (sarebbe meglio un mondo laico). Allo stesso modo se abbattiamo l’idealismo dogmatico abbattiamo la distanza tra noi e la natura che ci circonda: ci riconosceremo parte integrante della natura che diverrebbe nelle sue forme (animali e vegetali) una nostra pari con gli stessi diritti di sopravvivenza, procreazione ed esistenza.
Dal locale agendo verso il globale si dovrà anche considerare che la globalizzazione e la digitalizzazione (l’uno influenza l’altro) sono dimensioni che nel futuro andranno sempre più riconsiderate e governate per il bene dell’umanità.
 
Questioni aperte
In sintesi, nel tornare al quesito del titolo possiamo affermare che ipoteticamente sarebbe possibile istituire una società sul bene comune, ma si dovrebbe ipotizzare una struttura del mondo alternativa all’attuale. Per ottenere quel bene comune che garantisce “la buona vita umana della moltitudine” bisognerebbe, infatti, cambiare il modo di vedere il nostro mondo di prossimità, di aprirci senza timori al diverso dalle nostre abitudini intellettuali e culturali e dell’accogliere l’Altro come risorsa per la nostra stessa esistenza.
Ma un tale progresso sociale dipende anche dalla risposta che la struttura istituzionale dà ad alcuni quesiti: chi, e in funzione di cosa, definisce i costituenti del bene comune? Fino a che punto la politica si deve spingere per garantirne il suo conseguimento senza intralciare le libertà individuali? Con quali strumenti politici, economici e sociali è corretto perseguire il bene comune?
Il bene comune trova, infatti, gli strumenti della propria realizzazione all’interno di un ordine sociale che lo sappia accogliere. Ma, per poterlo perseguire, è necessaria una dimensione politica nella quale gli individui si riconoscono e verso la quale demandano la realizzazione della propria concezione di benessere collettivo. Sotto questi termini la questione viene, dunque, spostata sul piano della scelta elettorale.
Più in generale, si potrebbe affermare che sarebbe necessaria una coscienza-globale capace di dirigere le energie di tutti i cittadini verso l’individuazione di un bene che, contrastando le discriminazioni, rispetti le libertà civili, la giustizia distributiva, le pari opportunità, l’unicità degli individui e che responsabilizzi tutti verso il suo conseguimento.
Insomma, se a livello concettuale possiamo facilmente considerare il bene comune come la direttiva da seguire per il progresso sociale, nella sostanza la sua attuazione è complessa poiché apre a molteplici soluzioni organizzative che dipendono dalla coscienza civica e dalla direzione della forza politica prevalente.


[1]  Maritain J., La persona e il bene comune, Morcelliana-Brescia, 1980.
[2] Riflettiamo a come le iniquità distributive, le ingiustizie sociali e le posizioni lobbistiche finanziarie siano state la causa dello sfruttamento sconsiderato delle risorse naturali e del conseguente cambiamento climatico che hanno innescato accesi conflitti economici e politici.
[3] J. Nancy, Globalizzazione, libertà e rischio, in Micromega, n. 5, 2001
[4] Su una riflessione sul Limite del possesso in San T. D’Aquino vedi C. E. Gentilucci “Economia civile”, Ventura Edizioni, 2024, pp. 255-56.