Uno sguardo sociologico sull'abitare
di Claudia Della Valle
Il tema dell’abitare, negli ultimi anni, sta assumendo una sempre maggiore centralità tanto del dibattito pubblico quanto in quello accademico. A fronte di questa crescente attenzione, tuttavia, la questione di cosa si intenda per abitare è ancora oggetto di riflessioni e interpretazioni plurali. Ne sono un esempio i diversi ambiti disciplinari che hanno affrontato il tema: se le scienze sociali si sono occupate di catalogarne i modelli, definirne le modalità, scandagliarne le implicazioni, ricostruirne il percorso storico e le figurazioni dominanti, restando però spesso ai margini del suo significato, discipline come l’architettura e il design, chiamate a rendere concreto l’abitare, non sono riuscite a chiarirne fino in fondo la sua reale natura e andare oltre il progetto dell’abitazione.
Una tale difficoltà di definizione trova la sua ragione nella complessità e multidimensionalità del tema.
L’abitare può infatti essere descritto in molti modi ma è estremamente difficile racchiuderlo in una definizione unitaria ed esaustiva. Non solo perché il senso dell’abitare non è univoco, bensì espressione culturale e dell’organizzazione sociale frutto di un lungo processo di trasformazione, ma soprattutto perché si tratta di un fenomeno che ci appartiene troppo intimamente affinché sia possibile spiegarlo fino in fondo. Per quanto faccia parte della nostra natura tanto che, come afferma Maurizio Vitta, docente di Storia e cultura del progetto al Politecnico di Milano, «abitare è come venire al mondo, e venire al mondo è già abitare», si presenta con molteplici e contraddittori volti: può essere comportamento istintuale, idealità, sentimento e sogno ma anche progetto, pragmatismo, oggettualità e concretezza. Si compone di elementi fisici, materiali, legati alle dimensioni dell’architettura, della struttura e dei materiali di costruzione, ma si connota anche di una valenza identitaria, sociale e culturale, che ciascun individuo attribuisce allo spazio in quanto abitante.
Se l’invito, come suggerisce il titolo del contributo, è quello di adottare uno sguardo sociologico sull’abitare, è opportuno innanzitutto risalire all’etimologia del termine stesso. Deriva dal latino habitare, frequentativo di habere, che non significa solo “avere, possedere” ma anche “avere abitualmente, continuare ad avere”, aprendo tanto all’idea di proprietà quanto a quella, reciproca, di appartenenza. Se sentirsi a casa significa abitare l’abituale, godere delle cose che ci corrispondono e che sono parte di noi, appare chiaro come abitare un luogo non possa ridursi all’esperienza fisica di “stare, stazionare in quello spazio” ma debba essere necessariamente inteso in modo bidirezionale, a partire dalla relazione reciproca e dalle “intime alleanze” tra gli individui e i luoghi. Utilizzando le parole del geografo Angelo Turco, abitare significa «costruire un’intesa vitale, partecipare attivamente a una dialettica creativa che coinvolge lo “spirito” del luogo (chora) e il suo “corpo” (topos)».
Per queste ragioni, e in particolare per la centralità che qui assume la reciprocità della relazione, l’abitare si configura come un fenomeno sociale, di cui si evidenziano quattro attributi fondamentali che lo rendono particolarmente rilevante dal punto di vista sociologico. In primo luogo va considerato che, sebbene i processi di modernizzazione abbiano portato a una riduzione del significato di abitare in senso oggettuale quindi a una convergenza con l’abitazione, nella sua materialità, l’abitare non è un oggetto ma un processo e, in quanto tale, è dinamico nel tempo e nello spazio. È, in altre parole, un insieme di pratiche e di relazioni che vengono continuamente agite dagli individui, in modalità plurali.
Un secondo elemento riguarda il carattere situato dell’abitare: gli individui instaurano una relazione attiva e dinamica con lo spazio fisico che li circonda, che dà forma alle pratiche quotidiane degli abitanti e a sua volta ne viene plasmato, in un rapporto dialettico, e creano un legame materiale e simbolico con il mondo attraverso un continuo processo di costruzione attiva dei luoghi.
Un terzo aspetto è il ruolo attivo dell’abitare, che diviene una forma di agire sociale. Rifiutando la lettura moderna dell’abitare che lo riduce a una mera funzione organica, si evidenzia il passaggio da un modello di abitante-consumatore del prodotto-casa a uno di abitante-attore sociale: l’abitare si configura come un’opera intersoggettiva, carica di significati sociali e culturali, in cui l’abitante non si limita a riprodurre un processo ma lo reinterpreta in base a esigenze individuali o preferenze socialmente costruite. Infine, l’abitare non va considerato un’attività specializzata ma un sistema complesso di azioni e pratiche sociali e di relazioni con l’ambiente: si tratta di un’attività profondamente radicata nell’esperienza umana, che investe diverse dimensioni della vita individuale e sociale e coinvolge tanto i bisogni biologici quanto le componenti psicologiche, emotive, relazionali e identitarie.
Da queste considerazioni è possibile intuire che l’abitare è un concetto che non riguarda solo la dimensione domestica della casa ma ha a che fare con le più ampie relazioni sociali e si definisce passando attraverso le pratiche e le ragnatele di significati che ogni giorno ciascuno intesse con i propri vicini e con l’ambiente circostante. In questo senso l’abitare – inteso come fenomeno sociale processuale, situato, attivo e complesso – assume il senso del prendersi cura: di sé, degli altri e del territorio che si abita.
Nota bibliografica:
Vitta M. (2008), Dell'abitare. Corpi, spazi, oggetti, immagini, Torino, Einaudi, 2008.
Palvarini P. (2010). Qualità abitativa e vivibilità urbana. Quaderni di Sociologia, 52: 31-51.
Staid A. (2022), La casa vivente. Riparare gli spazi, imparare a costruire.