Il porto come luogo sociale aperto al futuro
di Marco Bracci
Passaggio, ingresso. Questo il significato della parola porto; un luogo di transito, di partenza e di arrivo. Per noi turisti-consumatori del viaggio contemporaneo, il porto è quell’ambiente fisico cui si accede per salire a bordo di un’imbarcazione al fine di raggiungere una meta, o che, una volta sbarcati, si attraversa per dirigerci da qualche parte; il porto è percepito come uno spazio fisico cui non sono attribuiti particolari significati, tranne il caso in cui si crei una situazione di forzata, imprevista e prolungata attesa (leggasi: ritardo), uno stato di sospensione temporanea del movimento che dapprima provoca irritazione, poi noia, fino a sfociare nell’attesa.
Ma c’è un problema: le nostre vite frenetiche e i ritmi cui siamo oramai abituati ci hanno diseducato a coltivare una virtù particolare, tipica delle società del passato e tradizionali, vale a dire la capacità di saper aspettare, ed è veramente strano che proprio all’interno di un porto abbiamo la possibilità di impararlo di nuovo.
Aspettare non significa “non fare niente”, anzi è una pratica culturale attiva che copre un’ampia gamma di comportamenti; perciò, aspettare è un “fare” e tra le molteplici possibilità che si possono dischiudere davanti a noi, c’è anche quella di osservare il luogo – il porto – da un punto di vista diverso e scoprire l’inaspettato, fino a rendersi consapevoli che non è soltanto un luogo fisico, ma un luogo sociale rilevante in cui accadono cose - sbarchi, attracchi, partenze, carichi-scarichi merci, rumori, dialoghi, urla, acquisti etc... – che ispirano emozioni e reazioni inaspettate.
Il porto definisce se stesso grazie al territorio che lo circonda, avendo alle spalle una città o un paese e di fronte il mare, quindi è un luogo sociale racchiuso tra altri due luoghi sociali dai quali storicamente è stato influenzato ma che ha saputo trasformarsi per coltivare una propria cultura, norme non scritte, abitudini, costumi, un linguaggio specifico che lo caratterizzano e lo rendono riconoscibile; tutto ciò è reso possibile dai tipi sociali che lo hanno frequentato (lavoratori e viaggiatori) nel corso dl tempo e da quelli che lo attraversano e lo vivono oggi. Ogni porto ha quindi una sua “personalità”, o meglio, ha una sua identità, formatasi e ridefinitasi più volte.
“In quanto nodi infrastrutturali che mettono in connessione merci e persone, i porti non devono essere analizzati soltanto nella loro natura economica, come zone di spedizione e trasporto: osservare il Mediterraneo dal punto di vista di un porto significa scrutarlo nella sua natura di spazio percorribile, territorio di interscambio non solo merceologico, ma anche culturale e sociale.” (Masciopinto, I porti del Mediterraneo: mondi sociali e spazi di frontiera, in Politics. Rivista di studi politici, 2016)
I porti del Mediterraneo, com’è quello di Piombino, sono comunità complesse, interdipendenti con altri luoghi dei quali contribuiscono a ridefinirne l’identità e il loro ruolo nel mondo; i porti sono “vivi”, in continuo mutamento, spesso invisibile a chi distrattamente li guarda senza osservarli e senza pensarli attentamente.
Il porto, come ogni luogo sociale, è un mezzo di comunicazione tra e con territori altri, lontani; è altresì un ambiente interculturale - si pensi soltanto al multilinguismo che lo caratterizza, visti i pubblici di varie nazionalità che lo frequentano – dove sensibilità differenti hanno la possibilità di incontrarsi, conoscersi, ibridarsi. Il porto, quindi, è legato al proprio passato dal quale trae la sua “anima” originale, ma è forse uno dei luoghi più “moderni” che le società contemporanee possano esprimere, in cui sperimentare, tra l’altro, nuove tecnologie (si pensi al settore della logistica avanzata) e innovative esperienze sociali.
Il porto non è soltanto un luogo dove andare per partire o cui giungere; è un luogo sociale che va compreso e vissuto, con l’interesse e la curiosità di chi guardando verso il mare riesce a immaginare il futuro.