Musica naturalis
di Cristina Ghirardini
Viviamo in un’epoca in cui normalmente la pratica musicale è affidata a specialisti, i quali si formano attraverso istituzioni e percorsi didattici appositi e selettivi e costruiscono il rapporto con il pubblico attraverso altre istituzioni e processi produttivi, inevitabilmente dipendenti dal mercato e costretti a fare i conti con il capitalismo e l’eterna carenza di finanziamenti destinati alla cultura.
L’Italia, tuttavia, ha saputo mantenere anche una pratica comunitaria della musica il cui apprendimento avviene, per esempio, partecipando a feste da ballo, a riti della Settimana Santa, a occasioni conviviali con i poeti estemporanei in ottava rima, a questue rituali legate al ciclo del Natale o alla ricorrenza Primo Maggio.
Coloro che suonano balli tradizionali alla zampogna, all’organetto, alle launeddas, al violino o al piffero delle Quattro Province, coloro che cantano i Miserere della Settimana Santa, o i poeti a braccio non è detto che leggano la musica ma non sono meno specialisti di chi si esibisce in teatri e sale da concerto e sono sottoposti ad un altrettanto faticoso processo di formazione. Uno degli aspetti più interessanti che li differenzia dai musicisti cresciuti in percorsi istituzionali è lo stretto rapporto con i loro ascoltatori e con l’ecosistema del fare musica, che gli stessi musicisti, cantori, ascoltatori contribuiscono in qualche modo a creare.
In una festa da ballo, tra suonatori e ballerini si crea una specie di simbiosi e spesso tra loro si conoscono personalmente, come frequentemente conoscono di persona anche chi sta solo a guardare e ad ascoltare, che sia di passaggio o abbia contribuito all’organizzazione. Non ci aspettiamo però che una giga, per esempio, suonata col piffero e ballata nell’Appennino detto delle Quattro Province (un’area divisa tra quattro province di quattro regioni diverse: Pavia, Piacenza, Alessandria e Genova) sia la stessa giga che si balla al suono del violino nella Valle del Savena in provincia di Bologna.
I partecipanti a un pranzo dei poeti estemporanei in Toscana o Lazio, anche quando non si conoscono di persona, diventano in breve tempo in grado di indovinare i rapporti o di parentela o di amicizia che li ha portati ad assistere ai contrasti in ottava rima. Siedono insieme a tavola con aspettative nei confronti dei poeti, in termini di capacità argomentative, immaginario di riferimento, efficacia della voce e della gestualità, metrica, e con la stessa intensità i poeti richiedono l’attenzione del loro pubblico.
Il mondo accademico ci ha insegnato a ragionare su queste pratiche in termini di “patrimoni immateriali”, forse nell’illusione che siano ripetibili a prescindere dagli individui e dai contesti, ma in fondo esse esistono nella misura in cui servono a tenere insieme delle persone e a creare uno spazio sonoro che alimenta la vita comunitaria, diversamente si estinguono. E la loro immaterialità starà forse nel non essere legati a supporti tangibili, ma qualsiasi pensiero (e a maggior ragione quello musicale o coreutico) ha bisogno di un corpo e di uno spazio fisico entro cui muoversi e interagire con voci, sguardi, gesti e suoni.
Spesso le pratiche musicali contribuiscono a immaginare o a descrivere un ambiente: non è raro ascoltare i poeti estemporanei del Lazio e Abruzzo cantare delle loro montagne e sorgenti e, a loro modo, anche i canti di questua sono spesso indirizzati a persone precise e luoghi specifici.
Se poi ci si addentra nella costruzione di strumenti musicali e dispositivi acustici, diventa evidente come il rapporto con l’ambiente si estenda alla conoscenza di specie vegetali e animali. Chi costruisce i corni di corteccia il Giovedì Santo a Ceriana sa che solo in primavera è possibile separare la corteccia dalla parte lignea di un pollone e che non tutte le essenze consentono di farlo. Sa inoltre che i corni vengono usati durante il periodo dal giovedì al Sabato Santo in cui (questo è avvenuto per secoli, fino al Concilio Vaticano II) le campane sono “legate” e il loro suono viene sostituito dagli strepiti (dall’“antimusica”, come l’ha chiamata l’etnomusicologo Febo Guizzi), di raganelle, tabelle ad ante battenti e corni.
Domenico Torta invece, musicista tradizionale, compositore e fondatore del Museo del paesaggio sonoro di Riva presso Chieri (Torino), ci ricorda che con ingegnosi alteratori della voce, ottenuti con calotte di zucca essiccata, un piccolo gruppo di cantori può imitare il suono di un complesso strumentale, in una contraffazione giocosa che ha il senso di una parodia.
Infine, potremmo sicuramente biasimare un bracconiere che va a caccia di quaglie, ma come non invidiargli la consapevolezza della sottile differenza tra il richiamo da vicino e quello da lontano, la capacità di ottenere lo stesso suono con un semplice dispositivo acustico (realizzato con un fischietto di osso e un serbatoio d’aria di cuoio e crini di cavallo), la conoscenza della periodicità di rotte migratorie e la familiarità con il territorio poiché deve sapere dove si trovano i gelsi per nascondersi e a quale ora della notte è meglio appostarsi?
Di questa prossimità, alla portata di tutti, con l’ambiente, la voce cantata, il suono, la corporeità e il pensiero musicale dobbiamo fare tesoro. Potremmo farlo impiegando il concetto di “dono di natura” dei poeti in ottava rima, magari forzandolo un poco rispetto al significato che i poeti attribuiscono a questa espressione. Certo, loro intendono dire che non tutti possono diventare poeti, ma solo chi ha il “dono” lo diventa, senza bisogno di una didattica specifica, del tutto inutile peraltro a chi prova ad essere poeta senza avere il “dono di natura”. Ma si può anche pensare che le prassi musicali evocate in queste pagine possano essere vissute, da chi canta, suona o balla, ma anche da chi ascolta, per la sola natura corporea, linguistica e relazionale di cui sono fatti gli umani e che sono parte di tutti noi, anche di chi ancora non ne ha fatto esperienza.
Giga, Suonatori della Valle del Savena e ballerini a Ca Brescandoli (2016)
https://www.youtube.com/watch?v=7uHPRajK9tE
Giga a quattro, Stefano Valla (piffero), Daniele Scurati (fisarmonica) e ballerini
https://www.youtube.com/watch?v=uWWKiZzz1ng
I corni di corteccia del Giovedì Santo a Ceriana, 2017
https://www.youtube.com/watch?v=AqYHHTSgu70
Paesaggio sonoro, dalle ricerche condotte nell’ambito del Museo del paesaggio sonoro di Riva presso Chieri, 2004-2005
https://vimeo.com/532323190/9a1e7629c4
Pietro De Acutis e Marcello Patrizi cantano su Gran Sasso e Maiella, Cabbia, 19 agosto 2019
https://vimeo.com/485593885