Social Media e Moda: non solo influencers. La cultura della moda nella società digitale 



 di Francesca Passeri
La moda è da sempre un fattore di cambiamento sociale, rappresentando un fenomeno complesso strettamente collegato ai profondi cambiamenti economici, sociali e culturali che caratterizzano la società contemporanea.
Occorre non solo soffermarsi sul lato strettamente estetico della moda, ma anche su quegli aspetti comunicativi e identitari che consentono di affrancarla dall’essere percepita comunemente come un settore frivolo ed effimero.
La moda è cultura; è un linguaggio universale, in cui lo stile di un abito diviene strumento di condivisione e di comunicazione, contribuendo a definire l’identità di gruppi e di singoli individui.
Ciò a cui abbiamo assistito negli ultimi decenni è un’accelerazione non solo nei consumi della moda grazie al fenomeno della fast fashion, ma anche una costante “presentificazione” della moda con collezioni che anziché rincorrere la stagionalità, hanno piuttosto privilegiato le esigenze di un consumatore sempre più affamato di nuove tendenze, già fuori moda nel momento stesso in cui vengono fruite.
Protagonisti assoluti della moda sono diventati i social media, straordinari attivatori di contatti e relazioni, spinta propulsiva per la ridefinizione della brand identity e della brand equity.
Ciò ha permesso un nuovo rapporto con il consumatore, non più passivamente recettivo delle tendenze imposte dagli stilisti, bensì consumatore proattivo capace di rendere più incisive le azioni di marketing, imponendosi come prosumer.
L’impiego dei social media è divenuto particolarmente vantaggioso per le imprese di piccole e medie dimensioni, i cui budget limitati non permettono l’accesso a strumenti di promozione, quali ad esempio la pubblicità sui media tradizionali, troppo costosi rispetto ai mezzi a disposizione dell’impresa.
L’aspetto interessante dell’implementazione dei social media nella ridefinizione dell’identità di marca è altresì rappresentato non tanto dall’attività di promozione, che diviene in un certo qual modo secondario o quantomeno non così visibile all’utente, quando piuttosto dalla creazione di un dialogo duraturo con i propri utenti, con le proprie comunità, con cui il brand condivide valori, sentimenti ed emozioni. La marca rassicura i propri consumatori attraverso una coerenza di contenuti che incontra le aspettative di una comunità solo apparentemente indefinita.
A partire da marzo 2020, il lockdown ha costretto le aziende a fare i conti con l’isolamento dell’individuo dal contesto sociale in cui fino a poche ore prima aveva interagito; analizzando nello specifico il settore della moda, quella barriera, già meno percepibile fra consumatore e brand, è andata quasi a scomparire, non solo nella moda pret a porter ma anche nel settore del lusso, che ha consolidato il suo status attraverso una comunicazione bottom-up dei propri prodotti, ma soprattutto dei propri valori.
Appare non solo interessante e drammatica allo stesso tempo la riconversione delle industrie del lusso e della moda nella produzione di mascherine, camici ospedalieri, gel igienizzanti, ventilatori, ma è il concetto stesso di tempi della moda che è andato a ridefinirsi.
Il lockdown ha costretto ciascuno di noi non solo a misurarsi con il dramma della pandemia, ma ci ha obbligati a una introspezione sui tempi che avevano fino a quel momento caratterizzato le nostre vite; la moda si inserisce in tale nuova concezione dei tempi e delle priorità dell’individuo; Giorgio Armani, nell’aprile del 2020, scrive una lettera al mondo della moda (https://forbes.it/2020/04/15/giorgio-armani-scrive-una-lettera-al-mondo-della-moda-e-lo-critca-e-tempo-di-rallentare-e-cambiare/) in cui definisce “immorale” il modo e i tempi della moda utilizzati fino a quel momento, sottolineando la necessità di produrre capi più duraturi, e invitando inoltre a un rallentamento dei tempi forsennati del fashion system, che hanno altresì prodotto un declino del sistema moda, con conseguente assimilazione del lusso al fast fashion nel tentativo di vendere di più.
I social hanno favorito un altro cambiamento significativo: la partecipazione alla sfilata, per anni tempio inviolabile e inaccessibile per i non addetti ai lavori, momento culminante del lavoro dello stilista, e contenitore di glamour e sogno, grazie ai social diviene accessibile e fruibile, non perdendo la sua aurea di sogno e di comunicazione di tendenze e stili.
Pierpaolo Piccioli, direttore creativo della maison Valentino, presenta in streaming la collezione uomo-donna per l’inverno 2021-2022, al Teatro Piccolo di Milano (https://forbes.it/2021/03/01/valentino-la-sfilata-di-piccioli-al-piccolo-teatro-che-rende-omaggio-a-milano/), in una sfilata che non ha l’unico obiettivo di presentare i capi della prossima stagione, ma racchiude in sé il significato di una moda non più esclusiva, bensì inclusiva nell’immaginario di un consumatore che diviene complice del brand, contribuendo a dare vita a relazioni durature e stabili con la marca stessa, in un mondo, quello della moda e del web, caratterizzato invece da cambiamenti repentini e da scarsa lealtà.
Probabilmente oggi Giovanni Battista Giorgini, inventore del Made in Italy e fautore della creazione del sistema-moda italiano agli inizi degli anni ’50, utilizzerebbe i social media per alimentare la cultura della moda italiana all’estero, e se incontrasse Chiara Ferragni le chiederebbe di collaborare con lui per riposizionare il brand Made in Italy