Luoghi relazionali e luoghi virtuali nel turismo: due mondi a confronto
In un’epoca dove tutto è veloce, dove tutto è a portata di mano, il turismo esperienziale e l’accoglienza turistica sembrano essere elementi lontani dalla realtà. Nel libro “La testa degli italiani” Beppe Severgnini, giornalista, saggista e opinionista, scrive che ci sono dei luoghi, i luoghi relazionali, dove è possibile incontrare racconti, storie e identità. L’autore li considera i servizi sociali, quelli che è possibile trovare nelle botteghe, nei negozietti dei generi alimentari, nei bar e nelle piazze dei tanti paesi italiani. Oggi il settore turistico è in rapida evoluzione grazie alle innumerevoli innovazioni tecnologiche e l’intelligenza artificiale sta apportando notevoli trasformazioni.
Dall’elaborazione di itinerari ottimizzati e personalizzati al suggerimento di ristoranti e attrazioni in base ai gusti personali, dall’utilizzo di enormi quantità di dati alla sostituzione delle guide turistiche con quelle virtuali.
Diverse sono le piattaforme virtuali progettate per pianificare e promuovere percorsi e itinerari culturali, favorire la crescita del turismo sostenibile in tutte le stagioni e sostenere l’integrazione di nuove tecnologie e approcci innovativi nel marketing turistico.
Un italiano adulto su cinque l’ha utilizzata per il 22%, questa percentuale sale al 35% se si considerano i giovani adulti tra i 18 e i 24 anni. Comodamente da casa è possibile, grazie alla realtà aumentata, visitare luoghi e ascoltare storie sepolte nel tempo, prenotare un volo e visitare l’albergo in cui soggiornare.
Da tempo nei musei e nelle gallerie d’arte esistono audio guide; tuttavia, le tecnologie avanzate hanno fatto nascere un nuovo concetto: quello delle creazioni di spazi e luoghi virtuali interattivi e ricchi di informazioni. Tecnologie che fino a poco tempo fa sembravano fantascientifiche sono pronte a irrompere nella nostra vita quotidiana: è il caso della realtà virtuale e del metaverso, che da soluzioni riservate a pochi settori specifici sembrano destinate a rivoluzionare ulteriormente le nostre attività, comprese quelle del turismo.
Il metaverso è un ambiente virtuale, condiviso da una comunità di persone che interagiscono tra di loro e con gli elementi virtuali, attraverso il proprio avatar o altre rappresentazioni animate in cui è possibile sperimentare mondi immaginari al di là dei limiti fisici e spaziali e che permette ai viaggiatori di esplorare destinazioni altrimenti difficili da raggiungere e di vivere esperienze uniche e personalizzate.
L’impatto di tali tecnologie potrebbe essere rilevante, se si considera la possibilità di accogliere le persone all’interno di spazi digitali costruiti ad hoc, per esempio per far esplorare la struttura individuata prima di concludere una prenotazione o addirittura concedere esperienze immersive in grado di offrire un’alternativa più immediata al viaggio vero e proprio.
Molte aziende stanno già sperimentando la realizzazione di camere d’albergo nel metaverso così come le stesse città si stanno impegnando a riprodurre le maggiori attrazioni e le vie più caratteristiche dei centri storici e dei borghi antichi, per permettere ai navigatori del metaverso di entrare al loro interno e scoprirne tutte le caratteristiche proprio come in un’esplorazione reale.
Ma questi innovativi sistemi virtuali nel turismo riusciranno a decollare o finiranno nel dimenticatoio? Ci sono delle sfide da affrontare come la connettività, ancora difficile in molti luoghi della nostra penisola, la privacy degli utenti, la regolamentazione… mentre restano cose che sono imprescindibili nel viaggiare: il viaggio non è solo scoperta geografica, ma è un immergersi nelle culture locali, un dialogare con gli abitanti dei luoghi, una creazione di ricordi personali e indimenticabili.
Per molti i luoghi relazionali, l’accoglienza turistica, l’esperienza diretta, i rapporti umani nell’epoca digitale sono elementi inutili, un rallentamento alla velocità dell’innovazione e della tecnologia. Ma è il dialogo con le persone che rende vivi e autentici i luoghi, il dialogo non omologa, ma fa si che quello e solo quel luogo acquisisca autenticità e riconoscibilità. Il virtuale non ha passione, non ha emozione. Tutto è sterile, tutto programmato. La velocità e la comodità delle informazioni, la programmazione precisa e puntuale del viaggio folgora, non ci rafforza anzi ci rende fragili. L’essere umano ha bisogno di fermarsi, di esistere, di emozionarsi e di riappropriarsi di sensazioni. L’esperienza diretta del viaggio è un vivere “attraverso”, attraverso gli spazi, il tempo, le storie, è un viaggio interiore in ciascuno di noi. Cosa, allora, può fare la differenza tra un turismo veloce e tecnologico, quello dei silent travellers, e un turismo lento ed esperienziale? I territori, i servizi sociali di Severgnini, quel bar o quel negozietto dove incontri persone che si mettono a disposizione dell’altro, fanno sentire il viaggiatore parte integrante del luogo, dove la convivialità di un buon piatto di minestra offre una risposta alle relazioni veloci del nostro vivere quotidiano, relazioni sempre più rarefatte e solitarie.
Può tutto questo essere sostituito da un monitor o da un luogo virtuale?
L’innovazione e la tecnologia, certo, non possono e non potranno essere fermate, ma forse è e sarà necessario ricercare ed affermare la centralità dell’elemento umano nel complesso rapporto tra intelligenza artificiale e turismo poiché la prima non sarà in grado di comprendere ed emulare le emozioni umane nella loro complessità.