Generazione. Ottimo memento, in questo tempo di creazioni posticce che, se appena le graffi, mostrano la coazione angosciosa dell’identico, un eterno presente cui sembra contrapporsi solo la nostalgia del passato più luttuoso.
La radice, dal greco ‘ghennao’, ha un unico significato su due diversi ambiti del reale: biologico (‘faccio nascere’) e antropologico (‘creo’), sia questo in senso fisico o spirituale. In entrambi i versanti indica un movimento particolare che nella sua forma più generale le Confessioni di Agostino d’Ippona definiscono così: “il mondo non era, dove sarebbe stato creato, prima che fosse creato, affinché fosse”.
Ora, l’interessante in tale formulazione radicale del concetto è che palesa come l’atto di generare, la generazione appunto, sia determinazione essenziale della libertà (ognuno può vedere quanto la libertà di creare sia superiore alla libertà di scegliere tra ciò che già c’è) e, insieme, in quanto movimento, determinazione del tempo. In altre parole, il generare, la libertà umana e il tempo storico (non quello biologico, dal momento che nessuna volontà o nolontà umana può opporsi al mutamento che conduce alla morte) sono tre determinazioni prese in una circolarità causale non unidirezionale.
D’altra parte, il linguaggio comune parla di ‘generazioni’ per designare classi d’età differenti, concetto ben chiaro se ci si riferisce alla dimensione biologica; assai più complicato e storicamente molto variabile diventa invece quando s’intenda la differenziazione storica, per il fatto che la complicazione e la variazione dipendono dalla reale creazione del nuovo.
La constatazione ovvia che l’uomo non è Dio comporta che nella storia la libertà di generare non è mai separata dalla libertà dalle condizioni in cui è immessa e con la quale intrattiene un complesso rapporto dialettico: è questa la posta del conflitto sociale e delle speranze individuali. Posta che può essere davvero contesa solo se teniamo a mente che la meta è la libertà di generare. Per chi, come me, ha i piedi nel lavoro contadino e la testa nel mestiere d’insegnante, ha ben chiaro che possiamo non dimenticare il futuro solo se sappiamo scegliere dal passato per comprendere l’oggi.
La frammentazione indotta dall’iperspecializzazione, la paranoia narcisistica dell’isolamento ben coltivato dal dominio neoliberista (“non esiste la società”, predicava la Thatcher negli anni Ottanta), la slogatura tra generazioni alimentata dall’accelerazione consumistica del finanzcapitalismo e da esso fomentata con lo scontro tra classi d’età sono tutti strumenti con cui si riduce la scena del mondo alla videata del computer, che ogni volta si rinnova rimanendo se stessa.
Per questo, per paradosso, io, maturo docente, mi sono trovato a insegnare ai giovani la speranza. E sempre per questo, quando il mio anziano padre contadino è scomparso, ho sentito il bisogno di saldare il mio legame scegliendo, dal suo patrimonio, la fiducia tenace di costruire legami, la voglia di conoscere il mondo per costruire un futuro meno diseguale, l’amore consapevole della bellezza della terra e di quanto sia bassa, il piacere mai perso per la partecipazione dell’altro alla propria esperienza.
Da questa passione del ragionare insieme e dalla consapevolezza del vincolo profondo tra l’ambiente e chi vi vive spunta il nome e la pratica oramai decennale dei Colloqui del Tonale. ‘Colloquio’ (‘parlare insieme’) è quanto più si avvicina al concetto meglio espresso dall’accezione antica di ‘ragionare’, ancora presente in bocca toscana, la cui radice è quella di ‘ragione’, che comprende sia ratio che ‘causa’. L’idea che li muove è che la conoscenza è molto di più che informazione, unidirezionale e verticale: è invece cooperazione, è rottura della paratia che impedisce il ritorno, è piacere del gratuito. Inoltre, come si diceva, l’individuo non è, se non per costrizione e mutilazione, una monade, quindi il ragionare si accompagna al piacere di condividere (il tempo, un piatto alla buona, un bicchiere) e insieme godere dell’ambiente del Parco naturale della Maremma, dove il podere di famiglia, il Tonale, si trova. Cosicché, più compiutamente, potremmo definirli ‘convivio’, dove l’interesse alla partecipazione è simmetrico alla gratuità assoluta di chiunque vi prenda parte, in qualunque forma.
Gli argomenti sono via via suggeriti dalle emergenze del presente, con uno sguardo di volta in volta locale o globale, ma sempre nella convinzione che nessun’isola è oramai presente o auspicabile. Argomenti tratti dalle differenti discipline in cui si è organizzato il sapere, cercando ogni volta di ottenere contributi di alta competenza, avendo però di mira un complessivo orizzonte di senso.
Dapprima i Colloqui del Tonale sono nati soprattutto per offrire agli studenti che lo volessero uno spazio culturale alternativo alle valutazioni, ai crediti, agli obblighi, poi la partecipazione è andata ampliandosi, così si è consolidata una “compagnia pìcciola” di amici, colleghi, giovani, studiosi, animati dall’interesse e dal piacere comune.