Lavoro
di Tiziano Arrigoni
Certe volte ci sono romanzieri che ci dicono molto più sul nostro paese di alcuni saggisti. Uno di questi è Luciano Bianciardi conosciuto da molti per il suo romanzo più famoso, La vita agra, e di cui quest'anno ricorre il centenario della nascita.
Bianciardi è stato testimone attento dei cambiamenti della società italiana durante gli anni del miracolo economico e ne ha visto i tarli e le contraddizioni, aldilà di un facile ottimismo imperante, pur senza nutrire nostalgie inutili per un “mondo che fu”, spesso duro per vivere.
Uno degli aspetti che fa da filo conduttore nelle sue opere è proprio il lavoro. Da una parte c’è il lavoro tradizionale, quello dei braccianti, quello dei minatori di Maremma, fatto di fatica, sudore, sfruttamento, voglia di riscatto, insomma il modello che fu in buona parte travolto dall’Italia del boom; dall’altra invece c’è il lavoro intellettuale, compreso quello creativo e qui i paragoni con l’oggi si fanno più stimolanti, anche se il contesto varia molto.
Bianciardi nel 1954 passò da una città provinciale come Grosseto a una Milano in piena espansione per lavorare nell’industria culturale (nel suo caso alla Feltrinelli). Certo, prima era stato anche insegnante e parlava (siamo nei primi anni Cinquanta) di “professori non di ruolo che si possono definire come altrettanti braccianti intellettuali, reclutati stagione per stagione, quando fanno comodo per le faccende, e poi lasciati senza lavoro”.
A Milano, dopo il breve passaggio alla Feltrinelli, farà il traduttore, un traduttore eccezionale, ma pur sempre pagato a cottimo. L'aspirazione era allora il posto fisso: proprio un coetaneo di Bianciardi, il poeta Franco Fortini, negli anni Sessanta, per mostrare l’italiano medio che tirava a campare (ossia il piccolo e comune individualista) in una sua poesia-canzone lo caratterizzava con “una piccola casa, una piccola moglie, un piccolo lavoro, una piccola messa la domenica”.
Ora questa sicurezza mediocre mette tristezza e ispira mediocrità, magari garantita: l’ideale della “piccola” scrivania.
E qui ritorna la differenza non troppo mai sottolineata fra lavoro e occupazione, l’occupazione serve per vivere, il lavoro, qualunque sia, per essere persona in una società.
È la stessa differenza che faceva Mazzini fra ‘istruzione’ ed ‘educazione’. L’istruzione serviva a leggere, scrivere e far di conto, l’educazione a vivere in società, a fare dell’uomo un cittadino e quindi ad esprimersi politicamente con cognizione.
Ecco, io credo che il lavoro faccia parte di questa educazione alla cittadinanza e che il precariato, non la flessibilità e la sperimentazione che sono altra cosa, portato avanti a lungo termine sia l’equivalente del far di conto. Inoltre il lavoro deve essere anche rapporto con un territorio e con la comunità che ci vive sopra, che contribuisca a crearne l’identità.
Oggi il problema è ancora più radicalizzato. Allora eravamo in un periodo diverso, di espansione e di speranza (allora i giovani migravano verso altre realtà in un contesto di espansione, oggi di contrazione), ma come non riflettere quando Bianciardi definisce questo lavoro intellettuale a cottimo un vero e proprio “battonaggio”?
Prima pagavano a cottimo il bracciante agricolo, oggi il lavoratore precario intellettuale, non più casse di pomodori (e in questo caso ci sono diversi e più feroci sfruttamenti), ma una somma immateriale di byte, tanto a battuta. E se i coetanei di Bianciardi potevano sperare in un futuro migliore, oggi il “battonaggio” intellettuale è diventato una condizione di vita in un mondo del lavoro sempre più frammentato.
Spesso questi nuovi lavoratori culturali provengono da famiglie operaie e finiscono per avere livelli di vita inferiori a quelli del padre operaio: vivono di lavoretti che sono diventati un modello di vita sempre più precario. Una società di lavoretti.
Nota
T.ARRIGONI, La dinamite nella valigia. Viaggio nell'Italia di Luciano Bianciardi, Piombino, La Bancarella Editrice 2019.
Il testo Lavoro era stato in parte elaborato per il blog di Vincenzo Moretti sul “Sole24Ore” , 3 ottobre 2018.
A.LEGA, Dove si andrà: le canzoni di Franco Fortini, in “A Rivista Anarchica” , 420, novembre 2017