La vulnerabilità in prospettiva sociologica
Il tema della vulnerabilità territoriale può essere affrontato analizzando l’interconnessione esistente tra la dimensioni fisiche ed ambientali e quelle sociali.
Questo approccio si rileva con particolare chiarezza quando la vulnerabilità, intesa come disastro è di origine antropica. Tuttavia, anche negli eventi la cui causa è naturale e non controllabile, come nel caso dei terremoti, è divenuto di senso comune affermare che ciò che determina il loro effetto non è la causa in sé stessa, ma le modalità con cui essa interagisce con la strutturazione del territorio che si è stratificata nei secoli ad opera delle società umane.
Riconoscere l’intreccio tra la dimensione fisica e quella sociale implica comprendere il territorio come un insieme di componenti umane e non umane, ciascuna delle quali ha una funzione attiva e interagisce con le altre in complessi processi di coevoluzione (Mela, Mugnano, Olori, 2017).
Il dibattito della sociologia dei disastri negli ultimi decenni ha evidenziato come la percezione del rischio, la valutazione della vulnerabilità locale, la resilienza sociale e il community-building sono elementi fondamentali per studiare l’impatto di un disastro su una comunità locale.
La dimensione sociale del disastro non è nuova e l’importanza delle reti sociali, del mutuo aiuto e della fiducia è presente nelle opere classiche sulla vulnerabilità e sui disastri (Friz,1961; Barton, 1969). La letteratura sul tema ha definito infatti la risposta di una comunità ad un evento catastrofico come “comunità terapeutica” e ha evidenziato come la “cultura” del luogo potesse essere una variabile determinante sia nelle prime fasi di soccorso che nella ricostruzione.
Bisogna sottolineare che ogni comunità reagisce ad un evento disastroso in base al proprio grado di vulnerabilità, che può essere riconosciuto dal modo in cui i diversi gruppi sociali sono costituiti e connessi e dalla percezione collettiva della comunità che ritiene di non trovarsi più nelle condizioni di vita garantite dal normale funzionamento del sistema sociale.
I numerosi eventi disastrosi che oggi caratterizzano la società in cui viviamo ci pongono di fronte alla necessità di rendere la vulnerabilità oltre che maggiormente comprensibile, anche culturalmente e socialmente accettabile. Come sottolinea Tierney i disastri sono occasioni che possono intensificare sia la solidarietà sociale sia il conflitto (2007).
Nella letteratura sociologica che s’interessa di disastri, le caratteristiche ecologiche radicalmente diverse del danno causato dai disastri naturali, per opposizione ai disastri tecnologici, sono state ritenute come il fattore cruciale per spiegare il tipo di risposta consensuale osservato nella situazione di disastro naturale (solidarietà) per opposizione alla risposta “corrosiva” (conflitto).
Se si esce dal quadro specialistico degli studi sui disastri e si analizzano in una prospettiva più generale di teoria sociologica le questioni che sono in gioco nell’analisi del modo in cui le collettività rispondono ad ambienti estremi, il problema più generale cui ci troviamo ad affrontare è - riprendendo le categorie di Charles Wright Mills (1959) - quello di spiegare come dei trouble, cioè delle perturbazioni della normalità di vita, trovano o meno modo di diventare una issuepubblicamente condivisa. L’investigazione del percorso che una trouble deve compiere in modo tale da diventare una issue condivisa è uno dei temi centrali affrontati dalla cosiddetta “nuova sociologia pragmatica francese” (Silber, 2003).
Luigi Pellizzoni afferma che i rischi ambientali svolgono un ruolo cruciale nel promuovere una trasformazione della democrazia di massa (2001). Tale trasformazione ha la caratteristica di muovere dal basso, come forma di auto organizzazione capace di incidere sui processi decisionali.
Nella crisi della democrazia rappresentativa, dunque, solo lo spettro della partecipazione si aggira come volano di cambiamento, in grado di trasformare gli strumenti di policy in effettiva opportunità anche per i processi di recovery delle aree soggette a fenomeni di rischio ambientale.
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Bibliografia essenziale:
Barton A. H., Communities in Disaster: A Sociological Analysis of Collective Stress Situations, Garden City, New York, Doubleday and Company, Inc, 1969.
Fritz C. E, Disasters, in “Contemporary Social Problems”, Merton R. K., Nisbet R.A., New York, Harcourt, 1961, pp. 651-694
Golino A., Pazzagli R., Storia dell’ambiente e percezione sociale delle calamità naturali. Il caso dell’alluvione di Firenze, in Mela A., Mugnano S., Olori D., Territori vulnerabili. Verso una nuova sociologia dei disastri italiana, Collana Sociologia urbana e rurale, Milano, FrancoAngeli, 2017, pp. 169-178.
Mela A., Mugnano S., Olori D., Territori vulnerabili. Verso una nuova sociologia dei disastri italiana, Collana Sociologia urbana e rurale, Milano, FrancoAngeli, 2017.
Pellizzoni L., Rischio ambientale e modernità, in De Marchi B., Pellizzoni L., Ungaro D., Il rischio ambientale, Bologna, Il Mulino, 2001.
Silber I.F. (2003), Pragmatic sociology as cultural sociology: beyond repertoire theory?, “European Journal of social theory”, 6, 4, pp. 427-449.
Tierney K. J., (2007) From the Margins to the Mainstream? Disaster Research at the Crossroads
“Annual Review of Sociology”, 33, pp. 503-525.
Wright Mills C., The sociological imagination, New York, Oxford University Press, 1959.