La comunicazione responsabile come antidoto all’individualismo e all’egoismo
di Marco Bracci
Vivere in una società consumistica significa navigare tra le onde dell’individualismo, dell’egoismo, del narcisismo, dell’insoddisfazione continua, e dell’emulazione come se fossimo sempre in una gara che nella maggior parte dei casi siamo destinati a perdere; vivere in una società consumistica significa anche seguire falsi miti, come quello della ricerca della felicità a tutti i costi, con il rischio di adagiarsi su un presente senza prospettiva storica e con il pericolo di trasformarsi in tante micro isole che faticano a dialogare tra loro, incapaci di costruire ponti dotati di empatia, di solidarietà, ma soprattutto incapaci di percepire la realtà delle nostre comunità e delle nostre società, perché troppo complessa; non solo troviamo sempre più complicato comunicare con le altre “isole”, immersi in ciò che Jay David Bolter ha definito “plenitudine digitale”, ma troppo spesso perdiamo di vista anche la necessità di farlo, nell’illusione che da soli siamo in grado di comprendere tutto e di impartire lezioni agli altri. Ma, sotto sotto, sappiamo di avere bisogno delle altre “isole”; sappiamo che abbiamo bisogno di pensarci all’interno di un progetto comune, condiviso, che ci possa fornire un’appartenenza identitaria e un senso di noi stessi. Cosa c’entra la comunicazione in tutto questo? C’entra, eccome! Soprattutto quella giornalistica, che da alcuni anni sembra aver abdicato al proprio ruolo di storyteller della complessità quotidiana nella quale viviamo e che noi stessi, in questa epoca di user-generated contents, contribuiamo ad alimentare; il giornalismo, come espressione fondamentale delle società democratiche, deve tornare a ricoprire un ruolo di bussola, a essere un “sistema esperto” – nelle parole di Anthony Giddens – che orienti i cittadini, li aiuti a comprendere la propria unicità (ciò che li differenzia dalle altre “isole”), ma anche i caratteri che li rendono simili tra loro, affinché coltivino quel senso di solidarietà che purtroppo stanno (stiamo) perdendo (dov’è finito il bene comune, l’interesse collettivo??). Il giornalismo locale dovrebbe tornare a svolgere questa funzione sociale, una sorta di dovere civico che crei domande e che sia parimenti in grado di aprire dialoghi “sani” per trovare risposte, per giungere alle quali – dobbiamo accettarlo – è necessario armarsi di pazienza, con la consapevolezza che il raggiungimento della conoscenza è un processo faticoso e tortuoso, ma necessario. Sociologicamente parlando, il campo giornalistico – per utilizzare una terminologia cara a Pierre Bourdieu, è l’ambito del racconto, della narrazione quotidiana delle cose del mondo, ma anche il terreno in cui il giornalista agisce come interprete/mediatore tra l’evento accaduto e i pubblici/cittadini che hanno necessità di orientarsi nella loro vita quotidiana, e che devono potersi fidare del giornalista inteso come professionista della comunicazione.
Negli ultimi anni, non solo in seguito alla nascita e allo sviluppo (o regresso, dipende dai punti di vista) dei social media come fonti dirette di informazioni per molti di noi, giornalisti inclusi, molti criteri di notiziabilità sono praticamente scomparsi dalla pratica giornalistica; ma il più importante resiste, quello della prossimità: sociale, culturale, politica, ma soprattutto territoriale. I cittadini/utenti dei media, hanno ampliato il loro raggio di azione alla ricerca di informazioni (o bombardati di informazioni da parte di media irresponsabili e inattendibili) che riguardano mondi altri ed esotici, come attratti da un desiderio di evasione temporanea dalla realtà nella quale abitano; ma ciò a cui ancora dovrebbero aspirare è la comprensione di fatti prossimi alle loro vite, che li toccano, li riguardano. È perciò dovere del giornalista ascoltare le esigenze dei cittadini senza cadere nella trappola di soddisfare o assecondare ogni loro desiderio costruendo narrazioni rassicuranti, o al contrario, come accade spesso, fomentando paure e panico morale, contribuendo così a produrre una comunicazione disturbata e disturbante e produttrice di isolamento sociale e culturale.
Il giornalismo locale, come massima espressione della comunicazione responsabile di cui abbiamo disperatamente bisogno, alle logiche politiche e di business, dovrebbe preferire quelle culturali, tornando a svolgere una funzione propriamente comunicativa – creare significati condivisi e combattere l’opacità sociale che caratterizza la realtà che viviamo – come antidoto alle derive individualistiche ed egoistiche.