Che lavoro fai? La calciatrice….
Di Marco Bracci
1 luglio 2022. Inizio di una nuova era (almeno sulla carta). Il calcio femminile diventa sport professionistico, dopo decenni di ipocrisie e di sacrifici non ripagati, soprattutto dal punto di vista di vista economico. Uno sport, il calcio, che in Italia si è sviluppato a livello amatoriale e professionistico ribadendo diseguaglianze di genere e un neanche troppo velato sessismo, anche perché “il pallone” da noi è sempre stato considerato uno sport per uomini, anzi, uno sport “maschio”. Ricordiamo ancora l’uscita poco felice dell’ex Presidente della FIGC Carlo Tavecchio – sfiduciato e costretto a dimettersi nel novembre 2017 dopo la clamorosa mancata qualificazione della Nazionale maschile alla fase finale del Mondiale 2018 - che nel corso di un’intervista rilasciata a Report di Rai 3, dichiara:
"Noi siamo in questo momento protesi a dare una dignità anche sotto l'aspetto estetico della donna nel calcio", la giornalista incalzava chiedendo "In che senso sotto ‘l'aspetto estetico?’". La risposta del dirigente Figc fu netta: "Perché finora la donna si riteneva un soggetto handicappato rispetto al maschio sulla resistenza, sul tempo ed espressione anche atletica, invece abbiamo riscontrato che sono molto simili". (La Stampa, 20/11/2017 https://www.lastampa.it/video/agenzie/2017/11/20/video/la_gaffe_di_tavecchio_nel_2014_sulle_donne_handicappate_nello_sport-210290/ )
Non una semplice caduta di stile, e forse neanche un’opinione isolata tra i dirigenti federali…ma forse un sentire comune prodotto di pregiudizi e stereotipi forieri di discriminazione nei confronti del mondo femminile calcistico come specifica espressione del mondo femminile tout court.
Dopo alcuni anni la percezione pubblica della “donna che gioca a calcio” è sicuramente mutata, anche perché strategicamente la FIGC ha attuato una politica sportiva molto aggressiva e, per certi versi, coattiva, attraverso una sorta di processo persuasorio verso le società calcistiche professionistiche affinché creassero vere e proprie sezioni femminili al proprio interno; esempi eccellenti sono: la Juventus, il Milan, l’Inter, il Sassuolo, il Napoli e per rimanere in Toscana la Fiorentina Women.
Ciò ha permesso di avere un campionato di Serie A molto più competitivo rispetto al passato, senza però risolvere a fondo le disparità di trattamento economico ancora esistenti tra mondo maschile e mondo femminile, con la soglia più alta del minimo retributivo netto pari a 19.750 euro…in pratica se non ci fosse da ridere verrebbe da piangere! (da Calcio e Finanza https://www.calcioefinanza.it/2023/07/20/quanto-guadagnano-le-calciatrici-italiane-le-cifre-tra-serie-a-e-mondiali/ ).
Dal punto di vista prettamente sportivo, l’ultimo quinquennio ha visto notevoli avanzamenti soprattutto derivanti dall’exploit del Mondiale 2019 con la Nazionale guidata da Milena Bertolini sconfitta solo ai quarti per 2-0 dalla fortissima Olanda che poi ha raggiunto la finale persa con le stelle USA capitanate da Megan Rapinoe, emblema della comunità LGBTQ+ americana e paladina dei diritti delle giocatrice (e non solo) omosessuali.
La FIGC ha poi proseguito nel percorso avviato ma, dato che lo sport è un fatto estremamente aleatorio e difficilmente controllabile, la stessa Bertolini – eroina quattro anni prima - ha recentemente fallito con la Nazionale, sportivamente parlando s’intende, ai Mondiali 2023 dove l’Italia non è neanche riuscita a superare la fase a gironi.
Ulteriore passo, deciso sempre dalla Federazione, è stato la distinzione netta tra una serie A professionistica e una serie B che è “altro”… (fonte FIGC https://www.figc.it/it/femminile/identit%c3%a0-governance/la-governance-del-calcio-femminile/
Con tutti i limiti esistenti il calcio femminile è in crescita per quanto riguarda il numero di tesserate, i ricavi e l’audience (fonte FIGC: https://www.figc.it/it/femminile/identit%C3%A0-governance/lo-sviluppo-del-calcio-femminile/ )
Resta un problema non di poco conto: l’autonomia funzionale e socio-culturale, per non dire antropologica, del calcio femminile (professionistico) nel nostro Paese. Vale a dire, sembra proprio che sia il mondo maschile del calcio a decidere le sorti del mondo femminile, come se quest’ultimo fosse una “costola di Adamo”.
È veramente interessante notare – almeno sociologicamente parlando – come il calcio femminile sia l’unico tra gli sport di squadra in Italia a doversi sempre liberare dalla marcatura del calcio maschile e come debba costantemente ridefinire la propria identità mai in modo autonomo e indipendente.
Una rappresentazione specifica di ciò che purtroppo accade a livello societario da sempre.
Il risultato è che le giocatrici adesso possono rispondere che giocano per vivere, ma purtroppo a livello di percezione pubblica fanno ancora troppa fatica a sentirsi riconosciute e legittimate quando dichiarano che vivono per giocare, vale a dire che il calcio rappresenta la loro vita, una scelta consapevole che molte ragazzine hanno iniziato a compiere andando oltre i pregiudizi…già!
Ma quando finiranno questi pregiudizi?