Imitazione, Fantasia, Memoria
I bambini apprendono a costruire i mondi intermedi, imparano a entrarvi e ad uscirne e lo fanno soprattutto attraverso il gioco. Lo abbiamo visto e vissuto da genitori con i nostri figli quando erano bambini. Ma noi adulti siamo debitori del nostro stesso essere stati bambini, perché ciò che viviamo come naturale, l’entrare ed uscire in mondi di senso che costruiamo con gli altri in modo cooperativo e sociale, lo abbiamo appreso in quel mondo diverso che è l’infanzia e abbiamo aiutato i nostri figli ad apprenderlo. Non a caso torniamo a ricordarla quando siamo vecchi, perché la distanza di tempo può diventare memoria solo quando la diversità del nostro essere stati bambini viene da noi accettata come una struggente, meravigliosa, irreversibile diversità e alterità.
Mi ha sempre dato da pensare il frammento di Eraclito che suona così: “ho indagato me stesso”. Mi piace pensare che ciò significhi la trasformazione del ricordo nella memoria del nostro essere stati bambini che comincia a formarsi e a premere nella nostra mente man mano che passano gli anni e noi accettiamo quella diversità e alterità del passato che è stata la nostra infanzia come qualcosa di vivo proprio mentre sappiamo che non c’è più e non tornerà e allora sappiamo che quel bambino che ben conosciamo e che alberga nella nostra testa siamo noi che essendo cambiati, restiamo noi stessi.
Bruegel il Vecchio nel 1560 dipinse un quadro che si trova al Kunsthistorischemuseum di Vienna e che si intitola Giochi di bambini.
Cosa accade dentro questo quadro? All’interno della cornice si danno tante cornici quanti sono i giochi. Ottanta mondi che fanno ottanta scene di gioco e che stanno dentro una grande cornice. Nonostante la prospettiva, non vi è un centro e neanche una gerarchia di mondi e di figure. Ed è forse questo il punto importante: la rappresentazione del gioco sono i singoli giochi che i bambini fanno da soli o insieme tra loro o insieme agli adulti. Il gioco è uno stare al posto di un altro, un’imitazione che, per dirla con Vico, si accompagna alla fantasia e alla memoria.
Il gioco è un mondo intermedio dove i bastoni si sostituiscono ai cavalli, le bambolealle bambine, le ringhiere alle carrozze, il gioco è una scena in cui ciascuno deve accordarsi con l’altro per una recita teatrale dove gli attori sono nello stesso tempo spettatori.
I bambini non rivolgono il loro sguardo al pubblico, agli spettatori, così come fanno la Madonna e gli angeli di Piero della Francesca o Las Meninas di Velazquez.
È come se lo spettatore che guarda il quadro si trovasse dietro una finestra in alto e da lì, non guardato e forse non visto, rimirasse quel che sta avvenendo sulla piazza.
Sul quadro di Bruegel si sono dette tante cose, nonostante la scarsa documentazione. Alcuni hanno sostenuto che i bambini di Bruegel non sorridono e ciò ha fatto pensare a messaggi morali contenuti nella rappresentazione. È probabile che vi
sia un fraintendimento sia su Bruegel sia soprattutto sui bambini.
Avete mai visto i bambini sorridere mentre giocano? I giochi sono impegnativi e drammatici e i bambini si divertono con grande serietà. Ridono, ma di solito non sorridono. Soprattutto si immergono nei giochi molto seriamente.
Gli spettatori a teatro o a cinema sorridono? Ridono, piangono, si annoiano. Di solito non sorridono. Il sorridere implica che lo spettatore stia fuori dal dramma. Non è lo spettatore seduto a teatro o a cinema, è lo spettatore che guarda lo spettatore piangere o ridere a teatro o a cinema. Nel sorridere vi è un che di riflessivo che arriva dopo il riso o il pianto, quando il proprio sé si frappone in modo discreto e dolce.
Colui che sorride è l’adulto che guarda il bambino o anche un altro adulto giocare. Alcibiade ride perché Socrate è comico nel suo cavalcare una canna, ma se avesse visto soltanto i figli di Socrate giocare a cavalluccio, allora molto probabilmente avrebbe sorriso.
I bambini apprendono con il gioco quello che i prigionieri della caverna non hanno imparato e non possono sapere. Costoro, non avendo l’esperienza (e dunque non avendone memoria) del passaggio da un mondo all’altro, non possono sapere che le ombre che vedono sulla parete sono come il soldato, la mamma e l’hobby horse dei bambini, cioè esseri che stanno al posto di altri.
È come se i bambini pensassero veramente di essere soldati e mamme, mentre l’hobby horse sarebbe quell’animale che nitrisce e sbatte la coda. E invece, sapendo di non essere soldati e mamme e che l’hobby horse non è un cavallo, proprio per questo apprendono a entrare nei mondi e a uscirne per imitazione, fantasia, memoria.
I prigionieri della caverna di Platone sono ingannati perché non essendo mai stati addestrati a stare al posto di un altro, non possono governare quel tipo di rappresentazioni che per i bambini sostituiscono il soldato, la mamma e il cavallo e che in quanto spostamenti preludono alle metafore.
Forse non hanno mai avuto il tempo di essere mai stati bambini.