Guido Piovene, viaggiatore in Italia
Il progetto radiofonico della RAI
di Arianna Brazzale
Nel maggio del 1953 lo scrittore e giornalista vicentino Guido Piovene salì a bordo della macchina guidata dalla seconda moglie Mimy e con lei intraprese un viaggio di tre anni, che sarà ricordato come una vera impresa di avvicinamento e restituzione delle diverse realtà sociali che durante il secondo dopoguerra animavano la penisola. L’incarico di realizzare un reportage dettagliato che raccontasse i diversi volti degli italiani che in quegli anni erano i protagonisti, da Nord a Sud, delle contraddizioni del periodo della ricostruzione e del boom economico era stato affidato a Piovene dalla RAI, che intendeva realizzare un ciclo di episodi per una trasmissione radiofonica finalizzato a far conoscere l’Italia ad un pubblico di ascoltatori ampio e variegato, che iniziava ad essere intercettato dai programmi di divulgazione culturale di massa.
La trasmissione andò in onda dal 1954 al 1956 ed ottenne un tale riscontro da pubblico e critica che il materiale raccolto fu utilizzato e affinato dallo stesso Piovene per pubblicare nel 1957 “Viaggio in Italia”, uno dei più significativi e influenti lavori documentaristici del secondo Novecento.
Un “inventario delle cose italiane”.
Per la stesura dei suoi appunti di viaggio che confluirono, come ricordato, nell’opera “Viaggio in Italia”, Piovene attraversò l’intero Paese da Nord a Sud, restituendo al pubblico di ascoltatori e lettori una vera e propria fotografia sociale dell’Italia degli anni Cinquanta del secolo scorso.
Trattò con pari dignità e attenzione analitica le metropoli in espansione e l’arretratezza di quelle terre che, riprendendo le parole di un altro grande narratore fedele di comunità Gianni Bosio, “non troppo distanti dalle vie di comunicazione, ma non abbastanza vicine per goderne, rimaste escluse dai trasporti e dai traffici, guardavano con rabbia, nostalgia e rimpianto al progresso.”
Animato da uno spirito di osservazione del dettaglio dal sapore quasi antico – come rivelato da un titolo che rimanda esplicitamente all’opera di Goethe e dei suoi illustri colleghi della stagione del Grand Tour - e da una volontà di restituire un’immagine dell’Italia depurata da quell’aurea di mistificazione spesso decaduta nel caricaturale, Piovene, con il suo taccuino in mano e Mimy al fianco, forte di un incarico prestigioso e attento al vero, raccontò di piazze e di città, di luoghi di potere, e di campagne, di persone e di personaggi: per sintetizzare con un unico termine, Piovene raccontò di “paesaggi”.
La scelta di un metodo documentaristico.
Lo stesso autore, nella premessa all’opera, parlava del metodo adottato per rispondere al compito affidatogli dalla RAI come simile a quello della stesura di un inventario stilato utilizzando di volta in volta il mezzo più adatto alle “cose” di cui intendeva parlare: i testi originari erano accompagnati da registrazioni dirette frutto della collaborazione con radiocronisti (tra cui cita in particolare Nanni Saba). Da lì a una decina di anni si sarebbe poi aperto il grande dibattito metodologico attorno all’uso delle registrazioni orali quali fonti dirette e dignitose per la ricerca storica. Piovene continuava la breve digressione introduttiva sul metodo dichiarando che era solito, dopo ogni tappa del viaggio, stilare un report di ciò che aveva visto e delle affinità e differenze riscontrate rispetto alle tappe precedenti, cercando di selezionare quelle informazioni che sembravano essere più durature e rappresentative.
Sempre dalla premessa, sappiamo che la decisione di trasformare gli appunti per una trasmissione radio in un volume scritto è stata presa in seguito alla richiesta esplicita da parte di alcuni radioascoltatori, richiesta che mette in luce il successo del progetto RAI.
Colpisce come l’autore stesso si sia rivelato capace di mettere in discussione il proprio metodo, ipotizzando che, se avesse deciso di selezionare maggiormente ciò di cui trattare, avrebbe probabilmente contribuito a dar risalto a determinate situazioni sociali ed economiche che invece la descrizione minuziosa e dettagliata dei paesaggi attraversati, che si snoda lungo le quasi 900 pagine di cui è composto il testo, rischia di non far emergere: questo, però, sarebbe andato a discapito del valore documentaristico dell’opera, principio a cui Piovene dichiarò di voler rimare fedele.
“Conclusioni del viaggio”.
“L’Italia è varia, non complessa”: così iniziano le considerazioni finali in merito al viaggio di conoscenza e scoperta intrapreso e che Guido Piovene riporta nel capitolo conclusivo del testo; considerazioni che servono all’autore per individuare i punti principali che devono guidare il lettore nella lettura critica e consapevole di un’opera tanto minuziosa che rischia di confondere. Nel loro essere semplici, gli italiani risultano agli occhi dell’autore anche come passivi di fronte ad eventi storici che, in un altro contesto, risulterebbero concretamente divisivi (uno fra tutti, l’unità nazionale, precaria, ma mai minacciata).
L’Italia di cui parlava Piovene risulta quanto mai attuale: era un’Italia in cui, come oggi, si discuteva di autonomia regionale, di demagogia centrifuga e di indebolimento delle istituzioni statali. Era un’Italia che riconosceva a Roma il suo essere capitale perché questa città condensava in sé i difetti (più che i pregi) di un Nord industrializzato e di un Sud arretrato. Era un’Italia che riconosceva che il Nord e il Sud viaggiavano su binari paralleli impossibilitati ad incontrarsi e che la sfida continuava ad essere quella di orientare gli investimenti al fine di sanare l’emergenza di un Meridione che andava trasformandosi in un “vivaio di emigranti”, desolato e disinnamorato. Era un’Italia in cui il tenore di vita medio aumentava, ma al tempo stesso si registravano nuove zone di depressione economica. Era l’Italia cattolica, in uno stato laico. Era l’Italia mistificata, la cartolina del Bel Paese, l’Italia degli stereotipi di ieri e di oggi.