La giurisdizione come "risorsa" scarsa: verso una giustizia più sostenibile

di Maria Pia Gasperini


La crisi di funzionamento della giurisdizione statale è dato tanto conclamato (in Italia e non solo) da essere continuamente oggetto di interventi da parte del decisore politico, spinto dall’esigenza di rendere effettivo il diritto di ognuno ad un processo equo che assicuri tutela entro un termine ragionevole (art. 6 CEDU).
È altresì diffusa la consapevolezza che il fenomeno dell’eccessiva durata dei processi non possa essere contrastato unicamente con interventi “a costo zero” sulla disciplina strettamente procedimentale, bensì vada affrontato anche mediante azioni finalizzate all’adozione di nuovi modelli organizzativi delle strutture di supporto al giudice.
Nelle riforme processuali intervenute negli anni più recenti (da ultima, la cd. riforma Cartabia del 2022) si avverte, peraltro, la spinta verso un cambio di paradigma culturale che attiene al più generale approccio al tema dell’accesso alla giustizia, e alla visione complessiva dell’attività giurisdizionale.
Per un verso, infatti, può dirsi ampiamente maturato il passaggio da una concezione della funzione giurisdizionale quale espressione della sovranità statale ad un’idea della stessa come servizio al cittadino che lo Stato ha il dovere di erogare in modo imparziale ed efficiente tramite suoi funzionari, e che tuttavia in alcuni casi (in particolare nella materia civile con riguardo a diritti disponibili) può essere reso anche da soggetti diversi, a partire da privati scelti direttamente dalle parti, nel legittimo esercizio dell’autonomia privata. D’altra parte, venuto meno l’assioma del monopolio statale della giurisdizione, si è fatta largo l’idea che al diritto di accesso al giudice dello Stato, ancorché fondamentale, faccia da contraltare un dovere dell’“utente” di esercitare tale diritto in modo adeguato, in linea con i generali canoni giuridici della buona fede e correttezza.
Ricorre sempre più spesso, anche nelle decisioni giudiziarie, l’affermazione che la giurisdizione pubblica costituisca una “risorsa non illimitata” (v., ad es., Corte cost. 19 aprile 2018, n. 77), se non addirittura scarsa, in ragione della limitatezza delle risorse umane e materiali che lo Stato è in grado di dedicare per assicurarne l’esercizio.
Ad essa si fa riferimento, ad esempio, quale “risorsa a disposizione della collettività, che proprio per tale ragione deve essere impiegata in maniera razionale, sì da preservare la possibilità di consentirne l'utilizzo anche alle parti nelle altre cause pendenti e agli utenti che in futuro indirizzeranno le loro controversie alla cognizione del giudice statale” (così Cass., sez. un., 20 ottobre 2016, n. 21260).
Appare dunque possibile sviluppare anche in questo ambito considerazioni del tutto analoghe a quelle che si è soliti svolgere con riferimento ad altre risorse non illimitate (ad es. ambientali o energetiche):
- vi è stato, ad oggi, un consumo eccessivo della “risorsa” giustizia, intesa quale servizio pubblico, il quale ha generato un imponente arretrato di processi, con conseguente eccessiva dilatazione dei tempi del processo;
- si prospetta quindi, per il futuro prossimo, l’esigenza di un consumo “responsabile” di questa risorsa, anche e soprattutto tramite l’acquisizione di una diversa mentalità, un diverso modo di lavorare ed una rinnovata visione del proprio ruolo da parte di tutti gli operatori coinvolti. Così, ad esempio, al magistrato è richiesto di rivedere le proprie radicate abitudini di lavoro individuale per acquisire maggiore familiarità con il lavoro in team, mentre all’avvocato è richiesto di informare adeguatamente il cliente circa il rapporto costi/benefici di un’iniziativa giudiziaria nonché la disponibilità di strumenti e percorsi alternativi per il perseguimento dei propri interessi;
- non è un caso che si parli ormai di sostenibilità anche con riferimento alla giustizia pubblica, laddove per “giustizia sostenibile” s’intende quel sistema che si colloca nel punto di equilibrio in cui, pur mantenendosi accessibile a tutti, riesce con le risorse disponibili a dare una risposta adeguata, in termini di giustizia sostanziale e celerità, alle richieste di tutela che gli vengono sottoposte.
In questo contesto, il ruolo degli strumenti stragiudiziali di risoluzione delle controversie, ed in particolare di quelli finalizzati al conseguimento di un accordo (mediazione e negoziazione) riveste un’importanza cruciale, non solo per il possibile effetto deflattivo sul carico di lavoro degli uffici giudiziari, ma anche e soprattutto in vista del perseguimento di una giustizia più sostenibile perché di migliore qualità, e senza problemi di scarsità. 
Una giustizia “consensuale” è, infatti, una giustizia più effettiva (perché tiene conto degli interessi delle parti), partecipata, responsabile, generatrice di fiducia e di coesione sociale.