Famiglia a chi?

di Patrizia Lessi

A dover dare una definizione stricto sensu di famiglia si rischia di appiattirne l’immagine sul modello padre, madre e bambini che certo rappresenta molti dei nuclei con cui ci confrontiamo e a cui viene quasi esclusivamente opposto quello con genitori dello stesso genere o figli non consanguinei, piuttosto che le diverse e numerose realtà raccolte sotto la definizione ombrello di famiglia allargata. In realtà, nella prospettiva degli studi antropologici la questione si fa più complessa. In antropologia la famiglia può essere definita come l’insieme di due o più persone legate da un’alleanza sociale ed economica variabile nel tempo e che coinvolge la parentela percepita attraverso il sangue, il matrimonio o altri accordi. Va da sé che in quest’ottica la nozione di famiglia vari marcatamente fra cultura e cultura. Una famiglia e un nucleo familiare possono essere la stessa unità, ma non è necessario che lo siano. A volte le famiglie vivono all'interno di nuclei familiari più grandi; altre volte una famiglia può essere separata fisicamente poiché i suoi membri migrano per lavorare o studiare temporaneamente in altri luoghi.

Come dimostrò, fra gli altri, Claude Lévi-Strauss nei suoi studi sulla struttura della parentela[1], la famiglia è prima di tutto un costrutto socioculturale. A definirla tale non è la natura, ma la cultura. In alcuni casi le famiglie sono composte da persone imparentate fra loro e conviventi nello stesso luogo, aventi in comune gli stessi obiettivi e valori, in altri per famiglia si indica un insieme disperso nello spazio di individui che condividono gli stessi legami ancestrali. Basta spostarsi in Brasile per osservare che tra i Munduruku della pianura amazzonica la famiglia residente comprende solo la madre e la sua prole preadolescente, mentre il padre risiede nella casa degli uomini tribali. Ciò significa che la discendenza è patrilineare mentre la residenza in cui vive il nucleo familiare è strettamente matrilocale. Al momento del matrimonio lo sposo si trasferisce nel villaggio della moglie ma non va a vivere con lei né con i figli che avranno insieme. Questi ultimi, se maschi, vivranno col padre nella casa degli uomini solo raggiunta l’adolescenza. Questa dislocazione dei componenti del nucleo familiare non inficia minimamente la ferma certezza che gli sposi e i figli siano a tutti gli effetti una famiglia legata affettivamente, moralmente e normativamente.

Ancora in Amazzonia la popolazione Matsés pratica sia la poligamia che i legami fra consanguinei (matrimoni fra cugini o fra nipoti e zii). È la rete familiare a intrecciarsi con quella politica e della gestione della società. Il governo politico ascende e cade velocemente in parallelo all’ascesa e caduta di una famiglia di seguito a un’altra. Il legame familiare è dunque esplicitamente un fatto sociale che riguarda tutti i Matsés e non solo i singoli coinvolti.

Spostandoci in Cina, al confine fra Yunnan e Sichuan vive la società matrilineare dei Mosuo. Tutta la discendenza è trasmessa per via materna e il sistema familiare non è basato sul matrimonio.  A tredici anni le ragazze Mosuo ottengono una camera tutta per loro dove possono rifiutare o accettare le visite di uomini esterni alla famiglia con i quali stringere alleanze sessuali per generare prole, rimanendo poi a vivere coi figli e coi fratelli nella stessa residenza. I bambini costituiscono la continuità del lignaggio delle donne. I ragazzi, arrivati anch’essi a tredici anni possono scegliere chi andare a trovare delle loro coetanee e in accordo con loro avere una relazione monogamica o senza alcuna esclusività sessuale e affettiva. Anche in questo caso il concetto di famiglia va molto al di là di quello a cui siamo comunemente abituati.

Guardando alla società tradizionale cinese, le famiglie distinguono terminologicamente tra parte materna e parte paterna, con nomi diversi per nonni, zie, zii e suoceri. I fratelli usano termini che distinguono in base al genere e all’età. L’individuo inteso come nucleo a sé è indicato con Ta che indica sia lui, lei, esso. Solo nella famiglia il genere e l’età acquisiscono termini specifici di riconoscimento. Al suo interno la discendenza si trasmette per via patrilineare e sono le donne a trasferirsi nella residenza del marito. Se in passato i bambini crescevano esclusivamente con le famiglie dei padri, oggi il progresso economico della Cina ed un inevitabile, seppur combattuto cambiamento sociale, hanno cambiato queste regole, ma esistono ancora molte famiglie che vivono secondo la tradizione.

Spostandoci in Africa e prendendo solo un esempio fra i moltissimi di famiglie strutturate in modi altamente complessi, fino alla metà del Novecento le popolazioni tribali dello Zambia settentrionale praticavano un matrimonio matrilocale in cui lo sposo si spostava nella residenza della sposa obbligatoriamente per i primi anni per poi scegliere se trasferirsi con la famiglia o restare dove era. Sono bastati però alcuni anni di contatto con la civiltà europea per modificare gradualmente la tradizione e consentire agli sposi di andarsene anche subito, cambiando così, assieme alla tradizione, l’intero assetto sociale. Pur vivendo in una residenza autonoma, la coppia di sposi con eventuale prole non è mai un nucleo indipendente, ma una parte di un nucleo allargato e più grande in cui la sposa cucina sempre a casa dei genitori assieme alle sorelle nubili e sposate, mentre lo sposo lavora assieme al suocero e agli altri generi costituendo una sorta di impresa maschile tenuta assieme da saldi legami familiari e gerarchici.

Fu Lewis Henry Morgan nei primi studi antropologici condotti sulla società irochese a individuare il vulnus del senso della famiglia per ogni cultura che non sta tanto nelle cerimonie e nella consanguineità quanto nei termini usati per descriverne i membri. In Systems of Consanguinity and Affinity of the Human Family [2](1871), Morgan spiegò che parole come “madre” o “cugina” erano importanti non tanto perché indicavano il grado di parentela fra persone, piuttosto perché sancivano i diritti e le responsabilità associati a ogni componente della famiglia sia per quanto riguardava il solo nucleo familiare sia per la comunità nella sua totalità.

Ad essere trasversale alle culture era ed è evidentemente l’etichetta che diamo per definire un ruolo ed una rete di relazioni, indipendentemente dal modo in cui nelle diverse parti del mondo queste relazioni vengono effettivamente declinate. Per gli antropologi, uno status è qualsiasi posizione culturalmente designata che una persona occupa in un ambiente particolare. Nell’ambito di una famiglia possono esistere molti status come “padre”, “madre”, “nonno materno” e “fratello minore”. Cambiando la cultura può cambiare il modo di intendere la famiglia ma non l’insieme dei comportamenti attesi da un individuo che occupa un particolare status. Una persona che ha lo status di “madre” (indipendentemente dal genere o dal grado di consanguineità) corrisponde ad una serie di aspettative.
Il sistema di parentela si riferisce al modello di relazioni culturalmente riconosciute tra i membri della famiglia e non a qualcosa che sta prima della cultura e ne sovrasta l’importanza.

Come cambia una cultura nel tempo, cambia anche cosa o chi inseriamo in un determinato status perché niente è piùvariabile e concreto della società, mentre su un presunto stato di natura in grado di ordinare quello di società nulla ci è dato sapere e nulla possiamo dire se non attraverso delle mere opinioni. Un concetto che dovremmo tenere tutti molto presente ogni volta che ci facciamo araldi di una visione unica, sana e giusta di famiglia, di parentela, di relazioni fra persone di questo secolo. 


[1] Claude Lévi-Strauss, Le strutture elementari della parentela, 1955
[2] Vedere anche Lewis Henry Morgan e la ricercar antropologica sui sistemi di parentela, a cura di Enzo V. Alliegro, CISU