Della tipicità …sotto “el capanon” 

di Danilo Gasparini

 
Sandrigo, Vicenza, anno di grazia 1650, 3 maggio, festa dei patroni San Filippo e Giacomo: lungo le vie del centro sfila la processione con le statue dei santi preceduta con solennità dalla locala Confraternita del Santissimo Sacramento. I confratelli sono tutti vestiti con mantellina rossa e cappa bianca. 
Settembre 2021, in tempi di Covid, per le vie del paese, sfilano i confratelli della Confraternita del baccalà alla vicentina: la cappa in velluto bruno-argenteo che simboleggia le squame del merluzzo, la mantellina gialla, colore della polenta, e il collare con il medaglione riproducente il logo della Venerabile Confraternita.  Qualcosa è cambiato!
 Ed ora quando si dice Sandrigo ma anche Vicenza si pensa al baccalà alla vicentina e quando si pensa al baccalà alla vicentina si pensa a Sandrigo e a Vicenza. Sono quelli che, con felice intuizione, Alberto Capatti ha definito “gastrotoponimi”. Per cui Parma è uguale a prosciutto e viceversa, Lamon (BL) uguale a fagioli, Bologna- mortadella e tortellini, Treviso-radicchio…e gli esempi potrebbero continuare.
Antonella Campanini ha ben ricostruito la lunga genesi storica di questo processo (Il cibo. Nascita e storia di un patrimonio culturale, Roma, Carocci, 2019), processo che ha portato, soprattutto a partire dal secondo dopoguerra e con il miracolo economico, alla costruzione di identità comunitarie forti e consolidate e attorno cui si sono costruite nel tempo rituali, feste, sagre, confraternite, strade dedicate, riti di esclusiva appartenenza, veri e propri bacini elettorali di consenso e per questo frequentate con assiduità e diligenza, ma anche mete di un turismo di fine settimana, per tutte le tasche,  presso le decine di agriturismi che propongono il “tipico mangiare contadino”, rimuovendo dalla memoria secoli di fame  e di monotonia  alimentare.
E a proposito di strade, solo per stare in Veneto,   sono nate: nel 1964, nel mentre si inaugurava l’Autostrada del Sole, la Strada del Prosecco e a seguire negli anni  la Strada del Breganze, la Strada del Clinton, la Strada del Gambellara, la Strada del Durello che si accompagnano con la Strada del riso, la Strada della ciliegia, la Strada della trota, le tante Strade del formaggio, o quella del Baccalà, dell’Asparago…. Per gli astemi c’è anche la Strada delle acque minerali.
Ma per tornare alle sagre: “Nella sagra- scrive Iolanda Da Deppo- sembra prevalere l’aspetto mondano e ludico, mentre la festa è anzitutto celebrazione religiosa […] La festa contemporanea è stata dunque segnata dal passaggio definitivo del consumo privato e domestico del cibo a quello pubblico, comunitario, sotto i tendoni e intorno a lunghe tavolate, e da una nuova valorizzazione dei piatti, da poveri e contadini a piatti della festa…”. L’idea di fondo è che in tutto il sistema delle feste, delle sagre, il protagonista è il cibo ad essere festeggiato, soprattutto quello contadino che diventa cibo della festa. Ed il fatto che si parli di un sistema di “sagre di paese” e non “di città”, al massimo qualche quartiere, la dice lunga su quello che è avvenuto.
Per secoli, lo abbiamo detto, è stata la città a nominare e denominare il prodotto, è stato il mercato cittadino a diffonderlo. Poi, semplifico molto, dal secondo dopoguerra in poi, è la campagna a trionfare, a riprendere un suo ruolo, una sua rivincita. Una palingenesi, una rigenerazione spettacolare: per secoli contadino, campagna sono stati i luoghi della “villania”, dei villani e di tutto l’armamentario di contumelie connesse, poi, miracolo, (appunto quello economico degli anni ’60) quella campagna, quei contadini sono diventati l’emblema del buono, del genuino, del sano, del naturale…per dirla con il “P.P” (Profeta Petrini) del “buono, pulito e giusto”, la DOC di Slow Food.
I processi di nascita, sviluppo e trasformazione di una sagra “gastronomica” sono i più diversi.  Il caso di Umin (BL) ci racconta bene lo sviluppo.  Da secoli, nell’antica chiesa, di San Marcello invocato per il mal d’orecchi, durante la sacra funzione, veniva distribuito del cotone unto con l’olio santo. Per iniziativa di un privato che aveva acquistato i terreni su cui insisteva la chiesetta, il pranzo diventa una prassi…e cresce nel corso del tempo, soprattutto per raccogliere fondi per il restauro…una sorta di crawdfunding popolare-mangereccio. Il Gruppo Alpini ne prende le redini. Al pasto per i fedeli che accorrono solo piatti della tradizione, niente patatine fritte: tripa in brodo e pita lessa (gallina) a cui via via si aggiunge la trippa “alla parmigina” e tanto altro, compresi i canederli del vicino Comelico e Alto Adige: il menu si allarga. I dieci e più quintali di trippa distribuiti hanno posto dei problemi di reperibilità della materia prima. Niente paura: la trippa congelata arriva dall’Argentina e per facilitarne lo scongelamento e il lavaggio ne si modifica una betoniera rivestendone l’interno. 
Segue poi la fase del fare: la trippa scongelata viene manipolata, tagliata a pezzi e cotta dagli adulti …in qualche modo ci riappropria del prodotto “foresto”.   Ai giovani poi il resto, il servizio: le generazioni che si ritrovano attorno alla trippa.  Così passare dal “capanon” ,dove si lavora, al “tendon” ,dove si mangia, il passo è breve: nessun straniamento!
Poi le sagre diventano dei contenitori. Al nucleo centrale via via si sono poi legati altri eventi: la corsa podistica o ciclistica, il raduno delle auto d’epoca, il ballo liscio ma anche l’esibizione dei gruppi di ballo country, l’esecuzione della banda, la sfilata delle majorettes, la sfilata in “rigorosi” costumi d’epoca (c’è grande scimmiottamento del modello alpino-altoatesino) dei vecchi mestieri, la mostra dei trattori storici con assordante e fumogeno rodeo, le immancabile mostre di pittura ex-tempore degli aspiranti Van Gogh, la mostra fotografica di come era il paese prima che capannoni e villette a schiera lo deturpassero,  ci sta anche il mercatino dell’antiquariato: basta infilarsi.
Insomma, la sagra è diventata un grande, permeabile contenitore capace di includere e accogliere tutte le domande di socialità, di presenza, di partecipazione. E tutto questo gestito dalle Pro Loco che diventano catalizzatori di tutte le possibili manifestazioni …da Halloween …alla passerella cinofila, dal Carnevale alla pedalata storica.
Il Dopolavoro di fascistica memoria non è che un pallido ricordo!
Quanto alla logistica c’è stata una evidente e veloce evoluzione delle strutture. Si è partiti dai cortili, dalla piazza, dal sagrato con quattro tavoli, una cucina da campo, una tettoia rimediata con quattro tubi Innocenti (qui i carpentieri e muratori erano tutti precettati) e un po’ di lamiere …il tutto open air.
Per le primitive “gare della pastasciutta” (veramente il simbolo dell’uscita dalla fame e anche perché il palo della cuccagna era via via scemato per motivi di sicurezza ma anche per aver perso il suo significato di dimostrazione di abilità e destrezza agli occhi delle ragasse) ci si piazzava sopra un rimorchio (evoluzione gommata del vecchio carro) passando poi al telonato, al camion del locale autotrasportatore, vero rustico palco per i discorsi di apertura, per le premiazioni, per l’esibizione dei vari gruppi di lissio o di revival anni ’60. 
A partire da fine secolo, dal 2.000, con l’aumentare dei visitatori e per le sempre più stringenti norme sanitarie e di sicurezza c’è stata una generale evoluzione dello spostamento dell’evento fuori dal paese, magari vicino ai neonati impianti sportivi o all’interno delle numerose aree artigianali, insomma in mezzo ai capannoni. Dapprima con tensostrutture (el tendon) affittate per l’occasione poi con la costruzione di centri polivalenti…o, come nel caso della “Festa del riso” di Isola della Scala (VR) alla costruzione del “Palariso”, una superficie coperta di 4.800 mq in grado di servire oltre 500.000 piatti e con il coinvolgimento di 900 volontari che vanno tutelati, assicurati…
Per chi ha un prodotto da promuovere, legato al territorio, fortemente identitario, la via della sagra è obbligata, soprattutto se si tratta di prodotti certificati, DOP, IGT e fratelli minori. Non solo: vista la professionale attrezzatura, è stato un susseguirsi di cooking-show o, come suggerisce la rete (vox web vox dei) di show-cooking del blogger di turno o dello chef locale salito agli onori della cronaca, magari passato in TV da Antonella Clerici.
Come si finanzia tanta attività? I flussi finanziari istituzionali sono cospicui: nel 2014, solo per i contributi legati alla riduzione della produzione di rifiuti nella somministrazione dei pasti, una sorta di svolta ecologica all’invasione di plastica varia di posate e piatti, la Regione Veneto ha distribuito più di 80.000 euro. L’autofinanziamento partecipativo delle imprese locali poi è d’obbligo. I dépliant, la brochure colorata della manifestazione, dal ruspante e inclassificabile impianto grafico, è composta per il 90% dalle inserzioni pubblicitarie e due-tre pagine dal programma e dall’eventuale menu. A suon di 100-200 euro a inserzione …con 50 e più inserzioni è fatta: dal carrozziere alla parrucchiera, dalle pompe funebri al fioraio, al salone della motosega, dall’idraulico al laboratorio odontotecnico: adversiting nostrano, spicciolo por todos.
Così, per i moderni pellegrini mossi da appetiti evidentemente non satolli del menu standardizzato offerto dalla GDO, sono possibili, a partire da gennaio, infiniti pellegrinaggi enogastronomici, seguendo rigorosamente la stagionalità.
Una nuova geografia è possibile…quella legata alle sagre dove il prodotto, il piatto diventa, all’ombra del campanile e del santo patrono, protagonista.
La pausa dovuta al Covid è temporanea: tornerà a Silea (TV) la Festa dea sardea! 

Ma la voglia di distinguersi resta. Ecco allora la stura alle varie esclusive, riservate ed elitarie confraternite del cibo: dal vino alla patata, dal baccalà ai bigoli…Basta una cappa per nobilitare il pesto! Ma questa è un’altra storia!  
Ci fermiamo…senza dimenticare che per secoli questo è stato il menù del tradizionale mangiare contadino: 
 

Polenta e porri è 'l nostro passimento;
d'agio e scalogne el corpo se norìga;
fra la zente n'andòm spuzando a vento.[…]
Martori semo, e martori sarom 
A’ seom pruprio la s-ciuma de sto mondo