Confini, confinamenti e incursioni oltre confine
Lo spaesamento dei giovani di paese
Un viaggio di piacere. Un fine settimana con amici d’infanzia del paese, in una delle più gettonate capitali europee. Amsterdam, una Disneyland per adulti, il Paese dove il libero mercato e la massima tolleranza attraggono ogni anno migliaia di italiani (secondo Banca d’Italia, nel 2019 sono stati 900mila quelli che hanno visitato i Paesi Bassi), per lo più giovani e maschi, per tre giorni di smodato consumo e machismo.
Il soggiorno è stato anche una preziosa occasione di ricerca, un’incursione di campo fuori dal campo, una strange situation in cui misurarsi con l’altrove e riflettersi nell’interiore.
Due compagni di viaggio speciali. Entrambi alla ricerca di un altrove. Uno con esperienza di univoca restanza in paese: alle soglie dei 40 anni ha voluto regalarsi un viaggio all’estero con gli amici. L’altro, come me, prestatosi volontariamente a questa avventura: anche lui ha studiato e lavora fuori dal Molise, ma tornerebbe volentieri a vivere in paese. Due immaginari e sistemi di aspettative diversi, due forme di radicamento e appartenenza al paese mossi da vincoli e opportunità differenziate.
“Non siamo più quattordicenni” è stato l’imperativo pre-partenza, uno slogan che intendeva privilegiare la “qualità” alla “quantità”, che tentava di orientare il viaggio verso la conoscenza di un mondo diverso, verso la ricerca di nuove e ipotetiche opportunità di vita.
Un viaggio esplorativo insomma: la fuoriuscita dall’ordinario, il superamento di un confine non solo geografico, ma simbolico, emozionale, esistenziale.
Nel confronto con l’alterità, con l’altrove, i luoghi della personale esperienza biografica si stratificano, si gerarchizzano, si mettono l’uno di fronte l’altro: è una consuetudine, infatti, affermare la distanza tra il “da noi” e il “qui invece”. Con l’occhio del turista si colgono superficialmente le principali opportunità che la città offre, quel tanto che basta per prefigurare avventatamente una scelta, senza misurarla con possibilità e risorse: “qui non ci vivrei mai” si alterna puntualmente a “un’esperienza di lavoro qui non sarebbe male”.
Per un giovane che vive in paese, ogni superamento delle frontiere diventa esperienza destabilizzante, uno spaesamento. Anche solo recarsi agli uffici regionali, nell’adiacente capoluogo, diviene alle volte una fatica, vissuta come uno sradicamento, una rottura coatta dell’abitudinaria quotidianità. Superare i confini nazionali, scontrarsi con idiomi diversi, confondersi tra quelli più alti e biondi diventa invece esperienza radicale: l’uscita dal confinamento, la rottura dell’isolamento, il superamento delle frontiere.
In tempi di iper-mobilità, negli anni in cui i figli collezionano un numero di ore di volo esponenzialmente più alto rispetto ai genitori, ci sono ancora individui poco mobili: quelli che, schiacciati dal peso di società globali che ci vogliono “naturalmente” in movimento, subiscono il peso della marginalità nella geografia dei flussi tipici della società a cui sentono di appartenere. C’è ancora molta immobilità involontaria, anche in Occidente, che si intervalla con piccoli e brevi spostamenti, incursioni oltre confine, soggiorni low cost e low engagement che seguono mode e tendenze del tempo.
Oggi nessuno vuole sentirsi “turista” (nessuno tranne quelli educati al Gran Tour), mentre tutti vogliono fare i “viaggiatori”, ostentare sete di conoscenza e scoperta. Per poi ritrovarsi puntualmente a tavola in un fast food, visitare musei delle cere, acquistare calamite e souvenir e lasciarsi consigliare da un qualunque visitcittà.com.
Una mobilità vistosa e ostentata al fine di esserci e conformarsi al mondo: la mobilità intesa come uno dei tanti beni di consumo sul mercato globale.
Superare il confine, quel luogo che Franco Cassano insegna a concepire come incontro e scontro tra individui diversi, abitudini, idee, simboli e significati, è il dovere del bianco e la colpa del nero. Il confine è lo spazio della transizione e della ri-significazione delle esperienze; nello stesso spazio di confine si può anche sperimentare la doppia assenza di Sayad, la non-identificazione e la mancanza di riferimenti, la presa di distanza, l’assunzione di uno sguardo fintamente non compromesso, che invece è orientato da un linguaggio, da categorie e da riferimenti precedentemente assimilati.
E cosa si trova quindi oltre confine? Niente di più di ciò che si è abituati a vivere, a riconoscere e a frequentare. Come insegnano gli studi migratori, l’espatriato ricostruisce oltre-confine, e in modo transnazionale, le reti di prossimità e le relazioni utili a condividere interessi e abitudini: riproduce intorno a sé un piccolo ambiente sociale confortevole e accogliente, mappa nuove geografie esistenziali, delimita un nuovo confine di senso, riconducendo sempre sé stesso all’interno del vortice gerarchizzato dei confini in cui è relegato.
Aime M., Papotti D. (2012), L’altro e l’altrove. Antropologia, geografie e turismo, Einaudi, Torino.
Cassano F. (1996), Il pensiero meridiano, Laterza, Roma-Bari
Riccio B. (2019), Mobilità: incursioni etnografiche, Mondadori, Milano.
Sayad A. (2002), La doppia assenza. Dalle illusioni dell'emigrato alle sofferenze dell'immigrato, Raffaello Cortina Editore, Milano.
Veblen T. (2007), La teoria della classe agiata, Einaudi, Torino.
Venturi P., Zandonai F. (2019), Dove. La dimensione di luogo che ricompone impresa e società, Egea, Milano.