Noi de borgata

Le canzoni di Armandino Liberti

di Omerita Ranalli

Con la pubblicazione del volume-CD Noi de borgata. Le canzoni di Armandino Liberti[1] intendiamo rendere un tributo alla memoria di un cantore delle periferie e del proletariato della Roma degli anni Sessanta e Settanta, e in questo modo rendere fruibili le sue canzoni, conservate nell’archivio sonoro “Franco Coggiola” del Circolo Gianni Bosio[2]. Materiali poco noti, testimonianze della protesta musicale – e sociale, politica e culturale – degli anni Settanta: la voce dura, graffiata, di Armandino, accompagnata sempre dalla chitarra, che ha attraversato le piazze della capitale e le sale del vecchio Folk Studio, non è mai stata incisa, e solo per una serie di casi fortuiti ci è arrivata, all’inizio degli anni Duemila, su due CD che abbiamo custodito negli armadi dell’archivio e che oggi, passati troppi anni, iniziano a presentare disturbi di ascolto (problema che spesso caratterizza le registrazioni digitali, a differenza di quanto accade con le registrazioni analogiche, se ben conservate).

A cento anni dalla nascita del suo autore abbiamo dunque scelto di condividerne i contenuti e dare loro nuova vita, coinvolgendo voci vecchie e nuove della scena musicale romana: da Piero Brega a Sara Modigliani, voci storiche del Circolo Gianni Bosio (e del Canzoniere del Lazio), passando per gli Ardecore, i Montelupo, BandaJorona, Ludovica Valori, fino ai giovanissimi Tangram, a Simone Saccucci e al duo Bozzo-Portelli, appositamente formatosi per l’occasione. A ciascuno di loro è stato chiesto di interpretare, secondo le proprie corde e il proprio stile espressivo e musicale, uno o più brani di Armandino. Finora, cercando in rete, era possibile ascoltare solo il brano più noto di questo autore, Noi de borgata, sia nella versione originale[3], sia nella riproposta di Daniele Coccia, voce dei Montelupo[4]: era, quella, una risposta di Armandino alla “gente de borgata” di Franco Califano. Una “risposta arrabbiata a un’altra voce romana, ruvida ma consolatoria”, come ci dice Sandro Portelli nel suo contributo al volume. La voce di Armandino, come pure i suoi testi, non ha mai un intento consolatorio: è una voce di protesta, che vuole sovvertire il senso comune e far emergere dall’interno una descrizione delle classi non egemoni, senza mediazioni né filtri.

Armandino era nato a Pietralata nel 1924, figlio di un perseguitato politico antifascista; comunista per nascita e per vocazione, militante nella sezione del PCI di Trionfale (dove suo fratello sarà poi segretario), “facchino” al mercato rionale dello stesso quartiere, attivo nei comitati di quartiere di Valle Aurelia[5], nonché cantore di protesta, entra in contatto con il Circolo Gianni Bosio già negli anni Settanta. Sarà poi il Circolo a cercarlo nei primi anni Duemila, e a raggiungerlo a Marano Lagunare (UD), dove si era trasferito e dove ha trascorso gli ultimi anni della sua vita, quasi cieco, lontano dalla sua città, forse dimenticato: qui saranno girate le riprese di una parte del film Canti lontani dal centro (S. Cerboni, M. Marcotulli, regia di M. Marcotulli - 2008), che racconta la storia del Circolo ma soprattutto presenta le storie e le voci dei suoi protagonisti, da Giovanna Marini a Paolo Pietrangeli, da Sara Modigliani a Piero Brega, fino appunto a Armandino Liberti.

Della sua biografia sappiamo ben poco, ma dalle sue canzoni emerge pienamente il mondo della borgata romana, la vita dei subalterni, come pure la loro lingua – un dialetto romanesco che abbraccia vari registri e si connota per un plurilinguismo e pluristilismo espressivo per cui quest’autore andrebbe annoverato a pieno titolo tra i poeti dialettali della capitale (il volume presenta un contributo di Marcello Teodonio che fa il punto sul dialetto di Armandino, sottolineandone la chiarezza e la ricercatezza, ma anche la capacità di stare dentro al tempo, dentro al “suo” tempo). I suoi personaggi lottano contro la miseria e la disperazione della borgata, consapevoli che l’unico possibile riscatto è da trovarsi nel lavoro, nella giustizia sociale, ma allo stesso tempo pienamente coscienti dell’incapacità delle istituzioni civili, come pure di quelle religiose, di far fronte a questa emarginazione. È così per il ragazzino tredicenne (il fanello) di Pietralata, cacciato da scuola e costretto a fare i conti con “li regazzi dalla vita bella” che giocano a guardie e ladri (mentre “noi de borgata, si ce dice zella/ le guardie vere ce vengono a pija’”), ma soprattutto con “questurini, giudici e avvocati”, che costruiscono il loro benessere proprio sui mali del mondo dei subalterni.

Nelle canzoni di Armandino c’è la disperazione (L’emarginato, Er magnaccia, l’ubriaco del Racconto di una notte), c’è il mondo del lavoro (Verso la fine dell’ora de pranzo ar cantiere, Omicidio bianco), c’è spazio per la rabbia (“se scoppiasse la rabbia qui in borgata”) e per la lotta (La piazza), c’è il senso della sconfitta politica (Partito mio te prego), ma anche la denuncia politica e sociale (La strage di Brescia). C’è un filtro ironico, di un’ironia solo a tratti scanzonata, e mai tendente al sarcasmo, che lega tra loro i vari brani: è quanto accade, ad esempio in Mo’ la machina ce l’ho, in Cerco er suicidio, in Er dispettoso.
O ancora in E vajece cor liscio, una scanzonata descrizione degli italiani di ieri e di oggi che, mentre tutto va a rotoli , mentre la barca va alla deriva in mezzo alla burrasca (“Ma la barca ‘ndo va, al timone chi c’è, pe’ sorti’ dalla burasca quale santo è da vota’?”, e verrebbe proprio da domandarsi se Armandino non conoscesse il sesto canto del Purgatorio), nella sala da ballo trovano l’antidoto ad ogni loro malessere: “se va tutto a scatafascio, vacce cor liscio e daje a balla’”. Nell’Italia di ieri, proprio come in quella di oggi, dove si balla al suono di altre musiche, mentre tutto procede “a scatafascio”.


[1] In corso di stampa per le edizioni Nota – Circolo Gianni Bosio, vol. 1 della collana “I giorni cantati”, nuova serie; volume a cura di Omerita Ranalli e Sara Modigliani.[2] https://www.circologiannibosio.it/.[3] https://www.youtube.com/watch?v=dBMZKBxq45w[4] https://www.youtube.com/watch?v=Elv_hk27fm8.[5] http://patrimonio.aamod.it/aamod-web/film/detail/IL8600001557/22/l-ultima-fornace.html?startPage=0&idFondo= In questo documentario sull’occupazione dell’ultima fornace di Valle Aurelia è possibile vedere una breve intervista a Armandino Liberti.