ABITARE IL FUTURO

di Jacopo Bertocchi

Evocare il “futuro” è una pratica che rende immortali gli uomini attraverso l’inganno.   
Un paradosso in cui l’incertezza prevale sullo stato delle cose certe dando sollievo allo spirito, soprattutto se lo scenario “presente” si presenta complesso e angosciante. Ancor più difficile diventa immaginare un futuro prospero se analizziamo i macro-eventi che stanno investendo l’Umanità in questi anni. Gli analisti hanno già pensato ad una denominazione per il futuro che ci attende: “il decennio perduto”. Il termine è stato coniato dagli scienziati del National Center for Climate Restorationaustrialiano che ha previsto il 2050 come l’anno del collasso dei principali ecosistemi terrestri: dall’Artico all’Amazzonia, alla Barriera corallina. Nei prossimi decenni una crisi idrica senza precedenti e l’avanzamento dei deserti nelle zone oggi densamente popolote produrrà miliardi di profughi climatici. I venti di guerra non si placheranno, ai conflitti mediatici tornati alla ribalta e piegati da una comunicazione intermittente, si sommano gli altri silenziati che permangono nelle aree più lontane: 22 quelli ad alta intensità nel 2021 (report sui conflitti dimenticati di Caritas). Con l'Ucraina si arriva a 23. Tenendo in considerazione anche le crisi croniche e le escalation violente se ne contano 359 nel 2020, milioni e milioni di morti. Nel luglio 2023 ONU (Italia) lancia l’allarme fame nel Mondo: sono circa 735 milioni le persone che ne soffrono, circa 122 milioni in più rispetto al 2019. Il tema si lega fortemente anche ai movimenti di spopolamento delle campagne verso le città dei paesi esposti al rischio di sicurezza alimentare (7 persone su 10 vivranno nelle città nel 2050) seguito da un vertiginoso aumento di consumo dei prodotti alimentari trasformati.

Le nuove minacce sommate alle vecchie inaspriscono i rapporti geopolitici in ogni parte del globo, raffreddano rapporti commerciali e culturali ed esacerbano i contrasti etnici, politici, religiosi. Le post-democrazie hanno di nuovo indossato l’elmetto, nostalgie autoritarie seducono l’est Europa e gli schieramenti in campo fanno sfumare per sempre le vecchie ideologie lasciandone sul campo, come ostacoli insormontabili, i fumanti relitti per la costituzione di nuove Cortine di Ferro. In questa parte del Mondo (Eurozona) invece lo spettro della deindustrializzazione si aggira. La perdita di investimenti per l’auspicata e risolutiva transizione verde in favore degli USA potrebbe accelerare un processo di delocalizzazione fuori dal vecchio continente, le importazioni cinesi sui veicoli elettrici e l’aumento dei prezzi dell’energia dopo l’invasione Russa in Ucraina rischiano concretamente di mettere fuori concorrenza le attività industriali strategiche europee, se non prontamente supportate da politiche comunitarie efficaci. Oltreoceano l’amministrazione Biden ha fin da subito applicato misure protezionistiche in chiave antiasiatica (anticinese) promuovendo investimenti interni e forti restrizioni sulle importazioni.
Il Mondo nel 2024 porterà inevitabilmente ad una grande frammentazione dei rapporti  commerciali, al vertice G7 (Hiroshima maggio 2023) si è tornati a parlare di “sicurezza economica mondiale”, della conseguente deglobalizzazione - già in atto - e della capacità delle istituzioni attuali nel creare una nuova governance per una nuova “Era” in cui le economie mondiali saranno alle prese con i problemi legati alle catene di approvigionamento.

Per abitare il futuro è quindi necessaria una buona dose di ottimismo. Se partiamo dall’assunto che la società è il prodotto dell’uomo (E. Fromm) e che essa si disumanizza con l’evolvere dei sistemi produttivi, attraverso il desiderio del progresso infinito, si lascia l’individuo libero di sviluppare una dimensione morale dove lo sviluppo tecnologico – e ciò che ne consegue per il suo raggiungimento- diventa etica, obiettivo, fine ultimo di qualsiasi azione. Tutto ciò ha un costo altissimo, uno scostamento dallo stato spirituale al quale l’essere umano deve restare agganciato in contrapposizione al desiderio del possedere e consumare. Tradurre in pratica politica una tale inversione di marcia è una questione prioritaria, non più procrastinabile. Qualcosa di interessante è stato concepito durante la “conferenza sul futuro dell’Europa” dove si auspica una revisione dei trattati che non punti al mero allargamento dei paesi membri in chiave “economicamente difensiva” ma che abbia lo scopo di esaltare il ruolo primario del cittadino nelle dinamiche decisionali bottom up e di confronto tra le istituzioni europee e i territori su temi come: ambiente, cambiamento climatico, salute e democrazia europea. 

Adesso la sfida è nelle mani delle  istituzioni mondiali che hanno il gravoso compito di rispondere alle ambizioni e alle preoccupazioni espresse dei cittadini. La missione civica non può certamente esaurirsi qua. È compito di tutti lavorare per un nuovo Umanesimo che respinga la diffidenza, l’egoismo e l’indifferenza. Riconoscersi come una piccola parte di un ingranaggio complesso al quale tutti apparteniamo è l’unica via d’uscita dalla crisi globale che ci attanaglia.