La scuola agra
Lacrimae rerum, il mondo piange.
Timeo Danaos et dona ferentes, non ti fidare anche se ti fanno buon viso.
Agnosco signa antiquae flammae, non si dimenticano mai i segni dell’Amore.
Una studentessa mi scrive su Whatsapp perché ha spigolato queste frasi dalle nostre lezioni sull’”Eneide” e mi chiede se il prossimo anno in quinta troveremo cose così belle. La conforto scrivendole che le odi di Orazio, le rutilanti metamorfosi di Ovidio, la prosa di Seneca, il delirio mortifero di Petronio non la deluderanno.
Ma questa è un’eccezione, una triangolazione fortunata tra insegnante studente e materia incandescente.
A entrare tutte le mattine in una scuola superiore italiana c’è di che rimanere stupiti e preoccupati. Giovinette e ragazzoni costretti a un banco cinque o sei ore, privati dell’indispensabile smartphone, perché i cellulari ormai si consegnano in quasi tutte le scuole, ti guardano apatici e annoiati davanti a qualsiasi argomento, autore o tema tu proponga. A volte, spinti dalla paura di un brutto voto, pressati da genitori ambiziosi, si impegnano a stare attenti ma il gioco dura poco, massimo 40 minuti.
Dopo il ritorno a scuola dallo sciagurato Covid la rinnovata socialità li aveva resi euforici, se non felici, ma l’euforia è svanita presto.
Sono tristi e consapevoli. Una studentessa mi ha confessato che non riescono a seguire nemmeno la trama di un film perché, abituati alla velocità di Tik Tok e Instragram, si stancano subito, figuriamoci se riescono a seguire una spiegazione sulla Critica della ragion pura o i passaggi per risolvere un integrale.
Dall’altra parte gli insegnanti le provano tutte: metodologie dai confortanti nomi inglesi, lezioni pluridisciplinari e scriteriate che collegano tutto con tutti, modernizzazioni e attualizzazioni inopportune. Come cuochi poco capaci che, non sapendo cucinare, speziano le pietanze per renderle appetitose, invano.
L’unico momento in cui gli studenti ritrovano una certa vitalità è quando gli insegnanti propongono una prova scritta. Consegnato in modo disciplinato lo smartwatch vecchio e non funzionante, si mettono a smanettare e a copiare soluzioni e traduzioni dall’altro iphone, quello “vero”, che hanno in tasca, o dallo smartwatch. Consegnato il compito-farsa, ritornano alla usuale apatia.
Ora ci si è messa anche l’Intelligenza Artificiale: ricerche, compiti a casa, tesine ed elaborati vengono affidati a Chat Gpt o simili, anche se i risultati sfornati sono deludenti, sciatti, banali, omologati.
Un panorama desolante. Difficile trovare i colpevoli: certo gli adulti - insegnanti, e genitori soprattutto- non hanno saputo dare esempi convincenti e, magari, la felicità si impara per imitazione. Se siamo adulti tristi, viziati e sfiancati non possiamo fare da specchio a una generazione da giovinezza dorata.
O forse una storia li salverà. Prima della fine della scuola, ho proposto la visione di “Maraviglioso Boccaccio” sulla falsariga delle novelle del Decameron, ma uno studente mi si è avvicinato, con un’arietta interessata e curiosa: “Profe, invece del film, perché non ci racconta una delle sue storie?” Ho raccontato le vicissitudini di Sherazade, a lei le novelle hanno salvato la vita.