Costruire comunità: il grande ruolo delle piccole scuole
di Paolo Coppari
“Barbiana non è nemmeno un villaggio, è una chiesa e le case sono sparse tra i boschi e i campi. I posti di montagna come questo sono rimasti disabitati. Se non ci fosse la nostra scuola a tener fermi i nostri genitori anche Barbiana sarebbe un deserto.”
Esattamente 60 anni fa, così scrivevano agli alunni di Vho di Piadena e al loro maestro Mario Lodi i ragazzi di Barbiana, una piccola e sperduta frazione dell’Appennino, dove Don Lorenzo Milani aveva deciso di fondare una scuola, dando così avvio a un esperimento didattico a cui continuiamo a guardare con immutato interesse e gratitudine: un esempio di come i luoghi del margine possano diventare centri del cambiamento e dell’innovazione.
Sono dovuti passare però molti anni perché il tema dei rapporti tra centro e periferie educative, tra aree urbane e aree scolastiche marginali potesse uscire da una certa narrazione dominante e omologante, per diventare finalmente oggetto di nuovi e più interessanti contributi conoscitivi. Fondamentali in questa direzione sono state la Strategia nazionale delle aree interne (che ha individuato nel sistema scolastico uno dei tre servizi di base da cui dipende la scelta di restare a vivere o di trasferirsi nelle aree interne del paese e su cui investire), sia il Movimento delle Piccole Scuole dell’INDIRE (Istituto Nazionale Documentazione Innovazione Ricerca Educativa) che ha saputo invertire lo sguardo, sostenendo e valorizzando le scuole situate nei territori geograficamente isolati.
Sono gli anni a cavallo tra la prima e la seconda metà del decennio scorso, lo stesso periodo in cui irrompe la furia devastatrice dei terremoti del 2016: nella sola provincia di Macerata 48 Comuni su 55 vengono inseriti nel cosiddetto cratere, dove opera da subito l’Istituto Storico di Macerata con il progetto “Cantieri Mobili di Storia” che diventa una sorta di osservatorio del post-terremoto e dei suoi problemi.
Lo slogan “Ricominciare dalle scuole” che subito dopo i sismi del 2016 circolava ovunque, per poi lentamente affievolirsi fino a scomparire negli anni successivi, quando si registravano gravissimi ritardi nella ricostruzione, è stato di fatto adottato dai Cantieri Mobili di Storia che hanno continuato a puntare l’attenzione sulle scuole dell’entroterra, sui progetti che, seppur sottotraccia, venivano realizzati, e -in particolare- sul loro dialogo con il territorio.
Due esperienze ci sembrano in tal senso significative, ognuna delle quali è legata ad una parola- chiave. La prima ruota intorno alle scritture biografiche ed è stata realizzata tra il 2018 e il 2019 dagli istituti comprensivi di due centri dell’entroterra maceratese (“Lucatelli” di Tolentino e “Tacchi Venturi” di San Severino Marche), in collaborazione con l’Istituto Storico di Macerata e la Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari: quest’ultima legata, sin dalla sua nascita nel 1998, alla formazione e alla pratica della scrittura di sé, mentre l’Istituto Storico con i Cantieri Mobili da anni promuove iniziative per la messa in sicurezza e la valorizzazione delle memorie territoriali in direzione di una storia orale dell’Appennino.
Da questa sorta di triangolazione nasce il progetto “Scrivere per Ricostruire” grazie al quale, presso l’Istituto Comprensivo di Tolentino prende avvio nei primi mesi del 2019 un corso di formazione laboratoriale per ricercatori – biografi, aperto non solo ai docenti di ogni ordine e grado di scuola, ma anche a operatori di comunità. Gli stessi che fra aprile e maggio dello stesso anno procedono alla raccolta, trascrizione e redazione partecipata di storie di vita in undici paesi delle terre alte maceratesi.
Solo recentemente è stato pubblicato il libro “Quando arriva Primavera. Biografie e storie di comunità negli Appennini del doposisma” con 18 narrazioni biografiche, insieme ad alcuni scritti relativi al processo che ne ha accompagnato la realizzazione.
Più recenti e tuttora in corso sono i progetti di altri due istituti comprensivi dell’entroterra maceratese, che ruotano intorno alla parola - chiave “mappa di comunità”: si tratta di un prodotto cartografico con cui gli abitanti di un territorio hanno la possibilità di rappresentare il proprio patrimonio materiale e immateriale che lo caratterizza, insieme alla fitta rete di rapporti e relazioni che intorno a esso si è creata. Ne consegue che le mappe di comunità non sono un semplice inventario, ma un processo socio-culturale o, meglio, un percorso collettivo di partecipazione e di coinvolgimento degli abitanti di un territorio.
È quanto è successo nei due centri di Caldarola e di Visso dove le due scuole (una primaria e una secondaria di primo grado) hanno lavorato sul recupero delle memorie relative alle loro piazze, rese inagibili o devastate dal terremoto e di fatto ormai sconosciute ai giovani studenti. E lo hanno fatto operando a stretto contatto con una rete di associazioni e attori locali.
Caldarola è un paese caratterizzato da un ricco tessuto civile e antifascista, dove nel settembre 2017 l’Istituto Alcide Cervi decide di organizzare una sessione straordinaria dei propri organismi, per rimarcare la vicinanza ai problemi della ricostruzione post-sisma; due sono le strade indicate in quella occasione dalla presidente Albertina Soliani: praticare la memoria e ricostruire la partecipazione nell’Appennino. Le stesse strade che la comunità caldarolese ha percorso per la costruzione della mappa di comunità relativa alla piazza Vittorio Emanuele II, da sempre il cuore pulsante del paese.
Nel lavoro finale, presentato nella primavera scorsa, sono confluite con una perfetta fusione le attività parallele, ma fra loro comunicanti e complementari, condotte sia da un gruppo di cittadini e cittadine di Caldarola, animatori di comunità e “militanti” della memoria locale, sia da una classe quarta della primaria che vi ha lavorato per due anni con interviste, mappature del territorio, lezioni itineranti, ascolto di racconti, realizzazioni grafiche e multimediali.
Senza entrare nel merito del progetto di Caldarola e di quello di Visso (che è nella sua fase iniziale e si avvale del ruolo trainante dell’associazione locale “Visso d’Arte”), vorrei sintetizzare alcuni loro caratteri distintivi, cominciando dal rapporto scuola- territorio. Nonostante quest’ultimo sia stato ripetutamente sollecitato sin dal 2012 dalle Indicazioni Nazionali del Miur, la scuola italiana nel suo complesso lo ha praticato in maniera sporadica e occasionale, senza coglierne le potenzialità e la rilevanza dal punto di vista educativo. Anche nel Manifesto delle Piccole Scuole dell’Indire la profonda relazione che deve intercorrere tra le attività didattiche e la realtà circostante è annoverata come uno dei tre punti-chiave del documento, secondo il quale le piccole scuole possono diventare grandi comunità di memoria: cerchiamo di capire il perché.
Sicuramente le scuole che hanno condotto le esperienze didattiche sopra illustrate sono diventate centri poliedrici e multiformi di comunità, perché hanno offerto servizi e hanno messo a disposizione gli spazi anche oltre l’orario scolastico: sono risultate insomma veri e propri punti di aggregazione per la valorizzazione e la cura del patrimonio storico, memoriale e culturale.
Sicuramente queste piccole scuole hanno saputo ampliare l’ambiente formativo oltre e al di fuori degli spazi scolastici, creando nuove e inedite comunità di apprendimento dove ogni componente sa di poter apportare un contributo importante per la crescita formativa del proprio territorio. Comunità di apprendimento che, anche grazie ai Cantieri Mobili, hanno saputo aprirsi ai contributi esterni degli istituti di ricerca e delle università, che hanno fornito, insieme alle conoscenze storiche, competenze e strumenti di lavoro per muoversi ed operare con crescente consapevolezza. Ricordiamo a questo proposito il breve corso di formazione sulla storia orale, organizzato nella primavera di quest’anno dall’Istituto Storico di Macerata e dall’Istituto Comprensivo “De Magistris” di Caldarola.
I percorsi scolastici, narrati in queste pagine ma anche in quelle di Agata Turchetti e Fabiola Scagnetti con cui abbiamo collaborato costantemente, servono infine a capire un altro aspetto a nostro avviso fondamentale: progettare approcci didattici che nascano (come quelli da noi esaminati) dal dialogo, dall’ascolto e dal confronto con la comunità, permette alle scuole di rafforzare la propria identità, costruendo un’offerta formativa innovativa e basata su apprendimenti non standardizzati, ma profondamente radicati al territorio: alla sua storia, alle sue vocazioni, alle sue potenzialità.
Potremmo dunque pensare alla elaborazione di un approccio appenninico alla scuola, sul modello del Reggio Emilia Approach ideato nel secondo dopoguerra da Loris Malaguzzi? La felice intuizione espressa in questa domanda dalla dirigente scolastica Agata Turchetti nel corso di una nostra iniziativa, esprime - meglio di altri - la concreta utopia che stiamo perseguendo in questi anni. Sono in atto nelle piccole scuole delle aree interne appenniniche sperimentazioni pedagogico-didattiche con notevoli ricadute sulla popolazione scolastica e con evidenti benefici a favore della comunità e della coesione territoriale. Queste sperimentazioni però stentano a farsi conoscere, a dialogare tra di loro, a fare rete e – soprattutto- a diventare sistema: a uscire cioè dallo stato di “progetti” e divenire attività scolastica ordinaria e permanente. Senza questi requisiti, le innovazioni rischiano di diventare effimere e poco generative.
Si tratta di un ambito di riflessione troppo complesso per essere relegato alla conclusione di questo scritto, ma troppo importante per essere ancora una volta sottovalutato o trascurato, come purtroppo è successo in questi anni.
Tra gli studi più recenti sul tema delle scuole nelle aree interne e, in particolare, delle piccole scuole ho fatto riferimento ai seguenti testi:
Scuola e innovazione culturale nelle aree interne, a cura di Daniela Luisi e Filippo Tantillo, I Quaderni della Ricerca/50, Loescher, Torino 2019.
Comunità di memoria, comunità di futuro. Il valore della piccola scuola, a cura dei ricercatori Indire Giuseppina Rita Jose Mangione, Giuseppina Cannella, Laura Parigi e Rudi Bartolini, Carocci, Roma 2020.
Manifesto per riabitare l’Italia, a cura di Domenico Cersosimo e Carmine Donzelli, Donzelli Editore, Roma 2020.
Quando arriva Primavera. Biografie e storie di comunità negli Appennini del doposisma, a cura di Chiara Caporicci, Paolo Coppari, Silvana Nobili, affinità elettive, Ancona 2021.