Chiare, fresche e dolci parole


 di Elena Pecchia


Le parole sono importanti” ricordava Nanni Moretti non ancora in crisi d’età e ispirazione.
E’ partito a metà settembre il nuovo anno scolastico, il terzo di una pandemia che sembra non finire più e, al di là delle mascherine e dei Green Pass, il carrozzone scolastico è ripartito su una strada piena di buche, peggiori di quelle romane. Perché insegnanti, studenti, presidi, genitori non si capiscono più fra loro né all’interno del proprio “insieme”. Non possiamo qui sciorinare un elenco completo delle parole e parolazze che circolano nella scuola, ma possiamo riportare qualche esempio.

Competenza La scuola italiana si vanta di essere una scuola delle competenze, che significa non conoscere quello di cui si parla – le nozioni sono il Diavolo! – ma piuttosto conoscere il know how, saper fare e mettere in pratica… cosa? L’infinito di Leopardi o l’uomo è ciò che mangia di Feuerbach o un calcolo algebrico complesso (!?!).

Il digitale un Totem della scuola contemporanea, tanto più con la DAD che è stata inevitabile ma di cui si sono già visti i risultati deleteri. Se gli “scolastici” si ricordassero qualcosa di quello che hanno studiato, ricorderebbero che c’è una bella differenza tra mezzi e contenuti. Ma questo torna: se i contenuti non ci sono più tanto vale focalizzarsi sul contenitore di vetro, inutile perché vuoto.

Valutazione/Griglie Un tempo gli insegnanti valutavano a occhio un compito o un’interrogazione, certo era soggettivo e, a volte, arbitrario, ma chi ha insegnato solo per qualche anno capisce al volo se un compito è sufficiente o se il ragazzo che ha davanti abbia capito qualcosa della spiegazione, altrimenti dovrebbe cambiare mestiere. Invece oggi i poveri insegnanti si attorcigliano con griglie e tabelle senza accorgersi che i punteggi faticosamente raggiunti sono ancora una volta arbitrari. E si ritorna al punto di partenza.

Progetti e Piani Un mare magnum di progetti di ogni foggia e maniera viene proposto all’inizio dell’anno o riproposto trionfalmente dagli anni precedenti, eppure basterebbe solo proporre un’ora di lezione vera, chiara, trasparente, dalla cattedra, che abbia un capo, un corpo e una conclusione… ricordo ancora una piccola conferenza a Suvereto in una serata estiva del filosofo Remo Bodei sulla storia della violenza che partiva dagli spartani e arrivava ai talebani. Una lezione di metodo. I saperi al posto delle competenze, l’ora di lezione invece di progetti e fantomatici piani formativi e, soprattutto, esseri umani – insegnanti e studenti –- in una relazione umana che nei secoli ha dato qualche frutto.

Questo e altro ancora nel Manifesto per la nuova scuola, formulato e sottoscritto da un gruppo di insegnanti di tutta Italia, firmato anche da intellettuali e accademici di vario orientamento.