Dopo tutto, scuola, tu sei BENE
di Maria D’Agostini
Cara scuola,
in questi anni in cui ti ho frequentato su di te ho sentito di tutto: che sei antica, che cadi a pezzi, che vai riformata, che vai buttata giù e ricostruita, che non sai dove stai andando, che prima funzionavi meglio (quando?), che sei dei ragazzi, che sei democratica, che sei classista, insomma credimi, di tutto. Ho sentito esprimersi chiunque, da coloro che ti abitano e ti vivono ogni giorno a coloro ti ricordano per come eri quando facevano le superiori, lustri fa: genitori, giornalisti, politici, perfino personaggi e influencer della televisione o del web. Questo mi ha spinto a chiedermi: ma chi dovrebbe esprimersi davvero su di te? In altre parole: chi dovrebbe giudicarti? Le prove INVALSI, diranno i più pronti. Cioè quelle prove che gli studenti sostengono ad anni stabiliti, i cui esiti sono elaborati da istituti statistici, per farci sapere quanto tu funzioni e quanto no, quanto gli studenti italiani rendano su questa o quella materia. Tanto per capirci: gli studenti italiani, da questi dati statistici, di solito escono malconci.
E lì comincia la danza delle colpe: è colpa dei professori, è colpa dei ministri, è colpa dei social network e chi più ne ha più ne metta. Questo è ciò che oggi il cittadino medio pensa sul tuo conto, scuola mia. Io, però, che sono ancora fra i tuoi banchi, confesso di vederti diversamente e, nonostante gli incidenti di percorso, ho imparato a volerti un po’ di bene. Ho imparato a distinguere fra ciò che sento realmente formativo e quelle attività a cui mi sottopongono ma nelle quali non investo molto tempo, soprattutto non investo ME: ore di orientamento astruse, progetti che si rincorrono ma dei quali non ho chiari gli obiettivi, educazione a questo ed educazione a quello, verifiche compilative, tempi morti su piattaforme impersonali costruite per sembrarmi amiche e invece mi respingono molto più dei logaritmi e delle derivate.
Ugualmente, oggi so discernere fra quanti credono nel mio lavoro e confidano nella mia persona, soprattutto in quella che potrei diventare e gli altri, per i quali sei un luogo come un altro, insegnare è un lavoro come un altro. Oramai non sono più arrabbiato, se ci penso. I miei insegnanti navigano su una barca simile alla mia. Molti riescono a non perdere la bussola in questa nave senza nocchiero in gran tempesta, molti altri l’hanno persa, qualcuno non si arrende e difende il buono, molto, che in te si può ancora trovare.
La mia famiglia, come molte altre che conosco, ha fiducia nel loro sapere. Alcuni, invece, sembrano considerare chi lavora fra le tue stanze uno sprovveduto, alle volte perfino in malafede. Fra questi ultimi mi pare di poter citare anche qualche politico; ministro! Addirittura. Non sarò un cittadino modello, non perlustro i quotidiani o i telegiornali nel mio tempo libero, ma quando si parla di te, in giro, ho imparato ad attivare il super-udito e ho capito che sei diventata terreno di logiche spiacevoli, mia cara scuola. Secondo dichiarazioni di personalità importanti, documenti che ogni tanto qualche prof. ci legge, le novità a cui ogni anno assisto al mio rientro in classe, a settembre: devi essere efficiente, devi farmi trovare lavoro in fretta, devi rendermi competitivo, devi fornirmi di una mentalità imprenditoriale. Ancora: devi crescermi smart, connesso e tecnologico, devi farmi fare compiti di realtà per evitare che mi perda in sogni e fronzoli privi di risvolti pratici. Dovrò essere un adulto rispettoso: della legalità, dell’ambiente, delle norme stradali, delle minoranze, di tutto un po’, ciò che insomma si riassumerebbe nella parola “umanità”, quel complesso di forme, sistemi e nodi che in questo periodo con te ho imparato sempre più a conoscere e che oggi mi appassiona tanto. Ma non per merito di ore di orientamento astruse, progetti che si rincorrono ma dei quali non ho chiari gli obiettivi, educazione a questo ed educazione a quello, verifiche compilative, tempi morti su piattaforme impersonali etc. bensì per merito di discipline insegnate con passione e metodo da docenti motivati, pronti al cambiamento ma ben saldi su principi eterni di amore per quello che dicono essere “il mestiere più bello del mondo”.
Sei diventata, cara scuola, preda di ambizioni utilitaristiche, che ti tolgono respiro e ti tarpano le ali. Sei impastoiata in discorsi e pratiche che non ti appartengono o che ti allontanano da ciò per cui sei nata. Ecco perché non basta dire che sei un bene pubblico. Sei un bene più che pubblico, comune. Sei ciò che più dovrebbe essere partecipato, ma da forze ed energie positive, non da chi vorrebbe solo contabilizzare i risultati senza valorizzare al massimo i percorsi. Non sei dello Stato, sei di tutti coloro che vogliono il tuo bene, così come ho imparato a fare io.
Con dedizione e affetto,
uno studente