La fragilità delle dune, tra terra e mare

di Luca Sbrilli

L’ Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) è il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici istituito nel 1988. L’IPCC è un organo intergovernativo aperto a tutti i Paesi membri delle Nazioni Unite e della WMO (World Meteorological Organization), e attualmente ne fanno parte 195 Paesi. Sin dalle prime pubblicazioni del Report Annuale di questa organizzazione mondiale, redatte attraverso l’uso dei primi modelli previsionali basati sulla produzione eccessiva di CO2 e il conseguente riscaldamento globale, si capisce bene come gli allarmi del mondo scientifico siano stati pressoché ignorati dalle classi politiche di tutti gli Stati del mondo. Anche il tentativo di porre rimedio a questo stato di cose attraverso i vari COP (conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) sebbene un importante momento di confronto, sino ad oggi ha portato pochi benefici, limitandosi alle buone intenzioni. Anche la prossima COP29, a Baku capitale dell’Azerbaigian dopo la COP28 di Dubai (entrambi Paesi produttori di petrolio) si appresta a mantenere lo standard oramai consolidato di basso profilo nelle decisioni da intraprendere a livello globale. 
 
Le diverse previsioni dell’IPPC, sebbene si basino su modelli sempre più sofisticati, e nonostante ciò possano essere additati come semplificazione di processi complessi, mostrano chiaramente le tendenze sugli effetti conseguenti inequivocabili.

Il Riscaldamento Globale è un effetto che registriamo anno per anno, inesorabilmente, da qualche decennio a questa parte. Gli effetti di questi cambiamenti non solo sono formalizzati dagli strumenti degli Enti Internazionali o Nazionali preposti, ma i singoli cittadini di tutto il mondo toccano con mano quotidianamente gli effetti diretti o indiretti del cambiamento del clima.

I geologi, la figura professionale che possiede le capacità scientifiche per comprendere come, dove e quando si sono formate le diverse rocce del pianeta, bene conoscono la capacità della Terra a modificare il clima del globo attraverso i diversi processi naturali complessi ed il conseguente fenomeno dell’eustatismo, ossia il processo di innalzamento o abbassamento del livello medio marino e i relativi avanzamenti o arretramenti della linea di riva. Sebbene vi sia la consapevolezza di tali modifiche nel tempo, l’elemento che si osserva è la elevata velocità con cui tali fenomeni si manifestano. Cambiamenti che avvengono in decine di migliaia di anni si stanno osservando con estrema facilità, nell’arco temporale di poche decine di anni.

Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Valori sempre più alti della temperatura media del globo terrestre, così come la temperatura dei mari. Lo scioglimento dei ghiacciai alpini che progredisce anno per anno, così come la riduzione dello spessore del ghiaccio in Artide e Antartide. Lo scioglimento del permafrost (strato di terreno permanentemente ghiacciato alle alte latitudini e altitudini) che vedrà il collasso di molti dei manufatti costruiti su terreni sino a ieri consistenti in virtù del ghiaccio nel terreno.

Tralasciando di descrivere le molteplici conseguenze che potremmo elencare, ci possiamo limitare all’incremento del livello medio marino che, specie negli oceani, sta già provocando molti problemi specie alle popolazioni delle diverse isole presenti in questi mari e molti paesi costieri. Su un innalzamento del livello degli oceani di circa 4 mm/anno negli ultimi 30 anni, in alcune località l’aumento è stato ben superiore.

Le popolazioni che vivono negli ambiti costieri risultano le più vulnerabili a tali cambiamenti.

Oltre ai fenomeni relativi all’aumento dei fenomeni naturali quali piogge intense e relative calamità dettate dai dissesti idrogeologici e di erosione costiera, con abbattimento di strutture ed infrastrutture, si registra una sempre maggiore salinizzazione delle falde di acqua dolce e la perdita degli habitat naturalistici di vaste porzioni di costa.

I fenomeni che si registrano negli oceani si osservano anche nel Mediterraneo.

La costa toscana consta di 3 grandi pianure costiere, la foce dell’Arno, dell’Ombrone e del Fiume Cornia. In quest’ultima zona, la più piccola in termini di superficie di territorio, si evidenziano le condizioni di maggior vulnerabilità.

L’esile cordone dunale presente lungo tutto l’arco del Golfo di Follonica e le quote altimetriche delle aree retrostanti prossime allo zero, evidenziano delle condizioni molto particolari. Il fenomeno della subsidenza indotta dagli emungimenti, sebbene ad oggi in fase di contenimento, ha determinato negli ultimi anni un abbassamento significativo del suolo riducendo le quote altimetriche.

Gli scenari evolutivi dei cambiamenti climatici in questa zona sono quelli della ricostituzione degli ambienti naturali preesistenti all’azione antropica dell’uomo che in questa zona sono da ricondurre alla bonifica delle zone palustri mediante casse di colmata. In sostanza l’evoluzione futura della pianura del Fiume Cornia può certamente sintetizzarsi nella ricostituzione delle aree umide costiere caratteristiche del Maremma.

A questo proposito, l’azione lenta ma costante dello smantellamento del sistema dunale, unico baluardo morfologico alla pianura costiera con quote altimetriche prossime allo zero, è in fase progressiva.

Nel 2008, per la prima volta a memoria d’uomo un fronte di circa 50 metri di duna è stato superato dalle onde del mare e solo dieci anni più tardi, nel 2018, un evento meteomarino definito trecentennale (ossia che accade una volta ogni trecento anni) ha distrutto circa 600 metri di duna.

Tutto quanto sopra, ci impone di guardare con concretezza alla realtà. Da subito è necessario che le classi politiche, anche a scala locale, inizino a ripensare alla gestione del proprio territorio, con l’obiettivo di renderlo il più possibile resiliente alle conseguenze dei cambiamenti climatici che, purtroppo sono già in atto. 

La pianificazione del territorio dovrà prevedere zone di rispetto dalla linea di riva e affrontare il serio problema di come gestire strutture e infrastrutture stupidamente costruite nel recente passato sui sistemi dunali o in prossimità della costa bassa. 

La sfida è già iniziata.