Attratti dalle api 

di Federico Beconi

Era una bella mattina di maggio, il sole non ancora alto scaldava già a sufficienza la porticina di volo delle arnie che mi stavo apprestando a visitare, speranzoso di trovare i melari già colmi di miele da portare in laboratorio per smielare il primo miele dell’anno.
Era una tiepida sera di agosto, il sole ormai basso non bruciava più la pelle e i tappi di lamiera delle arnie potevano essere rimossi senza guanti. Mi apprestavo a visitare le famiglie di api a cui avevo tolto i melari qualche giorno prima per capire la popolosità delle famiglie.
Era un caldo mezzogiorno di gennaio, il sole abbastanza caldo e luminoso mi sembrava perfetto per il volo di liberazione dagli escrementi delle api dopo i brutti giorni ventosi e freddi appena passati. Avrei dovuto verificare la consistenza delle scorte di miele e se troppo lontane dal centro dell’arnia avvicinare i telaini più a portata delle api.
 
Ho descritto tre momenti diversi dell’anno in cui un apicoltore si appresta a far visita alle api con aspettative diverse ma sempre cariche di speranza e di abbondanza, di api e di miele.
Questi tre momenti possono rispondere o meno a tali aspettative. Avvicinandosi alle arnie si può intravedere, già da decine di metri, il volo frenetico e il ronzio festoso del pieno raccolto di maggio o il volo lento ed incerto di agosto o il movimento circolare e prossimo all’arnia durante l’inverno.
Tuttavia, accade anche che, avvicinandosi alle arnie, non si veda e non si senta niente. In primavera puoi trovare a terra, davanti alla porticina d’ingresso, cumuli di api senza vita: trattamenti agricoli. In piena estate un totale silenzio potrebbe essere conseguenza della varroa, un acaro parassita delle api che si nutre della loro emolinfa. In inverno il silenzio non sempre corrisponde al peggiore dei pensieri e quindi ti appresti ad aprire l’arnia con più speranza rispetto agli altri momenti dell’anno (in cui sai già il triste spettacolo a cui andrai incontro). Infatti, in inverno, spesso anche nelle belle giornate, si trovano famiglie magari numerose ma “pigre” cioè che non escono ai primi soli oppure si nota un pugno di api che non è riuscito a nutrirsi e che sembra dormire immobile.

Le api sono insetti speciali, che, come altri insetti, le termiti e le formiche, possono essere definiti “superorganismi”: le colonie di termiti, di formiche e di api costituiscono un organismo unico. Nel corso dell’evoluzione, singoli insetti sociali hanno iniziato a sviluppare comportamenti di collaborazione sempre più articolati e profondi fino ad assumere nel complesso lo status di un unico organismo. All’interno dello sciame ogni singolo individuo ha funzioni uniche e quindi una morfologia specifica, ma tutte concorrono ad avere un ruolo nel superorganismo come risposta adattiva ai vari fattori ambientali, proprio come accade all’interno dell’organismo di un singolo mammifero. Potremmo arrivare a dire che l’ape-super organismo sia molto più simile ad un mammifero che ad una coccinella.

Di fronte a variazioni di quantità di cibo, variazioni di temperatura, e l’arrivo di nuovi parassiti, si può verificare addirittura la scomparsa di molte specie animali più semplici. In questo senso le api dimostrano una peculiare resistenza grazie alle loro caratteristiche di unico organismo: autoproducendosi il nutrimento sono autonome rispetto a fonti di energia e approvvigionamento; regolando temperatura e umidità all’interno della loro struttura vitale sono indipendenti dalle variazioni climatiche. L’efficacia di tali risposte ambientali è garantita dal sofisticato livello comunicativo all’interno e all’esterno del nido. Attraverso mezzi fisici e chimici (soprattutto tattili, olfattivi e ormonali) si intrecciano fitte reti di comunicazione che, armonizzandosi con le informazioni portate dalle api operaie dal mondo esterno, adattano lo sviluppo del singolo organismo nella forma più appropriata.

 

In virtù di tale caratteristiche gli eventi che ho descritto in apertura anche se sempre più frequenti non hanno portato all’estinzione e neppure a rischio l’esistenza del genere Apis. Per nostra fortuna.

Pensiamo ad una singola ape operaia come ad una nostra cellula somatica, la regina ed i maschi denominati fuchi assumono la funzione degli organi riproduttori, la cera la pelle e la corazza, il miele ed il polline le nostre sostanze di accumulo per produrre energia, la propoli una parte del sistema immunitario e il loro comportamento è un intelligenza collettiva che noi possiamo solo ammirare increduli ed al massimo copiare per sviluppare sistemi di Intelligenza Artificiale.

“Ma il cervello di questa creatura fantomatica dove si troverebbe?”, si chiede l’entomologo Giorgio Celli. Difficile rispondere: non si vede. Appartiene ad un altro livello.

Mi piace osservare che l’intelligenza dell’ape è interconnessa e in condivisione con tutti gli individui che costituiscono il super organismo, è interconnessa con tutte le piante distribuite in un’area esplorabile di 100 kmq partire dall’apiario, è interconnessa con le fonti d’acqua, con gli eventi atmosferici e climatici.

Mi affascina pensare che un insieme di cinquantamila piccoli insetti si riunisca formando un unico glomere vibrante, in perenne movimento, in cui ogni ape è legata all’altra e poi, come per incanto, gran parte di questi individui esplora il mondo, lo impollina, lo conosce, lo porta al servizio della propria comunità per farne parte fisicamente nel buio della notte e al sorgere del sole nuovamente e freneticamente spiccare il volo nell’attrazione della fecondazione la vita.

 

 

 

Riferimenti bibliografici utili: Hölldobler B.,Wilson E.O., Il superorganismo, 2011 Adelphi; Tautz J., Il ronzio delle api, 2009 Springer; Celli G., La mente dell’ape. Considerazioni tra etologia e filosofia, 2008 Editrice Compositori.