Agricoltura e mitigazione dei cambiamenti climatici: una nuova sfida per la sostenibilità
di Angelo Marucci e Luigi Mastronardi
Il cambiamento climatico è un tema di grande interesse e rappresenta un fenomeno di forte preoccupazione a livello globale per gli effetti prodotti sull’ambiente, sui sistemi sociali ed economici e sulla salute umana. Le emissioni di Anidride Carbonica (CO2) e di altri gas ad effetto serra quali Metano (CH₄) ed il Protossido di Azoto (N₂O), associate all’aumento dei picchi di temperatura, alle precipitazioni irregolari ed agli eventi climatici estremi (eccessiva siccità e piovosità), hanno degli effetti negativi sulle produzioni agro-zootecniche e mettono a rischio la sicurezza alimentare. In ogni caso, l’agricoltura in particolare quella intensiva è contestualmente causa e vittima del cambiamento climatico e di altre emergenze ambientali, ad esempio della perdita di biodiversità.
Le aziende agricole congiuntamente alla produzione alimentare forniscono benefici ambientali e sociali, riconosciuti dalle comunità locali e dai consumatori, secondo un potenziale che è funzione dei contesti socio-economici e istituzionali. La FAO ha stimato che l'agricoltura produce in media 23,7 milioni di tonnellate di cibo al giorno in tutto il mondo.
Tuttavia, i cambiamenti climatici hanno provocato una riduzione della produzione agricola mondiale compresa tra l’1% e il 2% (IPCC, 2014). Agli eventi alluvionali viene attribuita una perdita della produzione stimata in 5,5 miliardi di dollari statunitensi durante il periodo 1982-2016 (Kim et al, 2023). A causa dei cambiamenti nell’uso e copertura del suolo tali eventi estremi risulteranno sempre più frequenti nei prossimi anni (Wübbelmann et al., 2023; Freire et al., 2020), determinando una ulteriore contrazione della produzione (Thornton et al., 2018).
Come ogni settore economico l’agricoltura emette, attraverso il processo produttivo, anidride carbonica ed altri gas ad effetto serra. Nel 2018, le emissioni totali provenienti dal settore agricolo sono state stimate dalla FAO in 9,3 miliardi di tonnellate di anidride carbonica equivalente; circa il 57% delle emissioni proviene dall’agricoltura e dall’allevamento del bestiame, mentre la restante parte è associata alla gestione e ai cambiamenti nell’uso del suolo (FAO, 2020). L’agricoltura intensiva, l’uso di fertilizzanti chimici e pesticidi, la pratica della monocoltura, alterano la struttura e la qualità del suolo provocando impatti negativi sulla biodiversità, sui cicli biogeochimici e sulla fornitura di servizi ecosistemici (Marino et al., 2023). All’opposto, l’agricoltura estensiva, ad esempio quella biologica e biodinamica, può contribuire alla riduzione di anidride carbonica e al contempo svolge un ruolo rilevante nella conservazione del carbonio nel suolo (Di Cristofaro et al., 2024). Secondo la FAO un ettaro di superficie coltivato secondo il metodo biologico è in grado di emettere mediamente il 57% in meno di anidride carbonica rispetto ai metodi di coltivazione tradizionale. L’introduzione di pratiche agronomiche sostenibili (agroecologia) se da un lato possono determinare una riduzione della produzione agraria (a causa delle restrizioni e dei limiti imposti alle lavorazioni agro-meccaniche ed all’utilizzo di determinati prodotti di sintesi), dall’altro producono benefici multipli per l’ambiente e per la collettività in termini di fornitura di altri beni e servizi ecosistemici, tra cui la protezione dalla biodiversità, il controllo dei fenomeni di dissesto idrogeologico, l’impollinazione. Questi servizi ecosistemici sono fondamentali per garantire il benessere economico e sociale sia delle generazioni attuali, che di quelle future.
La gestione del suolo è fondamentale per la conservazione, il sequestro e l’immagazzinamento del carbonio. A tal fine, per contribuire alla neutralità climatica, e conseguire gli obiettivi del Green Deal europeo, la Commissione Europea(2021) ha posto tra i sui obiettivi la diffusione della pratica del carbon farming che include, tra l’altro, l’agroforestazione, la gestione delle zone umide, le lavorazioni minime del suolo (minimum tillage) e/o la non lavorazione del terreno (no-tillage) che ne preservano la struttura, la rotazione delle colture che aumentano l’assorbimento di carbonio nel suolo o l’imboschimento dei terreni agricoli che immagazzina carbonio nella vegetazione (Hunt, 2008; Tang, 2016). In particolare, l’agroforestazione, pratica che consiste nell’integrare la vegetazione legnosa (alberi o arbusti) con sistemi di produzione vegetale e/o animale nello stesso terreno, non solo contribuisce notevolmente al sequestro del carbonio, ma fornisce anche una serie di servizi ecosistemici, tra i quali la conservazione della biodiversità.
Concludendo, la capacità dell’agricoltura di contribuire a mitigare gli effetti del cambiamento climatico richiede il passaggio da un modello basato sull’uso intensivo delle risorse, a un sistema agroalimentare che adotta un approccio integrato al cibo, affrontando i temi ambientali, sociali e di salute pubblica.
Bibliografia
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