La cultura culinaria italiana sul piccolo schermo, fra tradizione e innovazione

di Marco Bracci

 
“Non c’è qualità nell’ingrediente se non c’è qualità nella persona che lo produce”
Corrado Assenza

La recente rappresentazione mediale della cultura italiana del cibo che emerge da programmi TV in onda su canali dedicati e da docu-serie originali online è quella di un universo fantastico e contemporaneamente reale, in cui tradizione e innovazione sono lo yin and lo yang, energie opposte ma necessarie che si completano a vicenda, dove l’esistenza dell’una dipende dall’esistenza dell’altra, e insieme costituiscono un equilibrio dinamico....sempre in costante movimento, così come in movimento e in mutamente è la cultura gastronomica del nostro Paese.

In che modo è raccontata la tradizione (culinaria) italiana? Come uno stimolo a osservare il mondo intorno, il territorio locale, per imparare a comprenderlo, traendo ispirazione dal passato ma andando oltre gli standard “imposti” da decenni, e spesso secoli segnati da azioni ripetute sempre allo stesso modo secondo ricette oramai entrate nell’immaginario collettivo culinario italiano e poi internazionale.

Prendiamo ad esempio due storie della cultura italiana del cibo molto diverse tra loro:
Massimo Bottura e Corrado Assenza (rispettivamente, episodio 1 – stagione 1 e episodio 1 – “Capitolo” Pasticceria, Chef’s Table, Netflix)

Massimo Bottura, da Modena al mondo e ritorno: uno “chef-star”, divenuto emblema della cultura (del cibo) italiana glocal in chiave pop e lussuosa; per i suoi primi detrattori, un attentatore della tradizione culinaria modenese, poi divenuto emblema dell’aspirazione che ogni giovane chef dovrebbe avere di fare i conti con la cucina della nonna per affermare la propria identità professionale proiettata verso il futuro.

Corrado Assenza, siciliano di Noto, studi universitari a Bologna alla fine degli anni ‘60, dove trova l’amore (Nives) e poi il richiamo delle origini, per la paura di perdere non solo o non tanto il Caffè Sicilia, di proprietà della famiglia da quattro generazioni, ma il laboratorio di pasticceria ubicato nel seminterrato, la sua “sala giochi” come lui stesso la definisce nel poetico e realistico ritratto che emerge nell’episodio di Chef’s Table.

Poi ci sono i food shows e ad essi associati nuovi personaggi, divenuti volti noti per pubblici differenziati; su Food Network – rete televisiva italiana della galassia Discovery Italia – spiccano Benedetta Rossi, Giusi Battaglia (Giusina in cucina), Benedetta Parodi (la “capostipite” per così dire dei non-cuochi di professione divenuti celebri grazie a programmi TV ad hoc), lo chef Antonino Cannavacciuolo, Damiano Carrara....e molti altri (Foodnetwork.it).

Cucinare e mangiare “italiano”, acquistano una dimensione ludica ed edonistica: al divertimento di re-inventare ricette per gli altri si lega la possibilità data ai consumatori di provare piacere, permettendo loro di comprendere il valore del tempo – che deve rallentare – e delle cose, entrando metaforicamente non solo negli ingredienti utilizzati ma anche nella loro origine, nel loro significato originale.
“Rispetto” è una parola-chiave che, soprattutto nella serie targata Netflix, non assume un significato conservativo o reazionario, ma al contrario indica ricerca costante dentro le origini (la tradizione) per aspirare ad addentrarsi nel futuro della cucina italiana e per cambiarla; esempio paradigmatico di tale processo è il piatto firmato da BotturaCinque stagionature del Parmigiano Reggiano in diverse consistenze e temperature”.
Il rispetto comunicato è anche per il cibo, secondo i vecchi ma sempre validi adagi del “fare di necessità virtù” e del “non si butta via niente”.

Il focus narrativo è sempre sulla cucina tipica, sul ritorno alle origini e agli ingredienti “di una volta”, ai sapori genuini, caratteristici della cucina povera, che nel corso degli ultimi anni è stata catapultata nell’empireo della cucina italiana (e non solo), attraverso un revival, una sua ri-lettura e una sua marcata re-interpretazione, per aderire meglio ai gusti del consumatore contemporaneo il quale vuole mangiare tipico. E autentico. Già, sembra che la ricerca della felicità in ciò che mangiamo debba passare dall’autenticità delle ricette e financo di coloro che le pensano e le cucinano; certo, tutto è autentico, perché “reale”.

Le narrazioni offerte dalle serie Netflix e dai programmi TV sulla cucina e sulla gastronomia italiana, con le loro specificità e differenze, rispondono al nostro bisogno di tornare a sentirci al sicuro (il legame con le origini e la tradizione), ma anche alla nostra necessità come Paese di voler essere “come gli altri”, quindi all’avanguardia, contemporanei...innovatori. Ma l’innovazione fa parte della nostra identità – nei campi del sapere i più disparati – e fa parte quindi di ciò che siamo stati e di ciò che siamo adesso anche senza esserne pienamente consapevoli.
Ecco che l’immagine rappresentata è quella del carattere ibrido dell’identità culinaria (e culturale) italiana, un “impasto” di tradizione e innovazione, di passato e aspirazione al futuro.