Le architetture visionarie nei vinili

di Paolo Mazzucchelli

Se diamo per assodato che le copertine dei dischi non siano solamente un contenitore per il supporto sonoro, di fronte a noi si aprono territori nei quali possiamo perderci a cogliere messaggi, suggestioni, citazioni, legami con altre forme d’espressione artistica, architettura compresa. Edifici, infrastrutture, dettagli di interni sono stati spesso protagonisti di queste “tavolozze di cartone”, stimolandoci a riflettere o anche solo ad immergerci per qualche attimo in locations sino a poco prima considerate lontanissime.
Se pensiamo all’architettura industriale come non ricordare il ruolo della centrale elettrica di Battersea nella copertina di “Animals” dei Pink Floyd; il bassista Roger Waters, che vi passava di fronte quotidianamente, decise di proporla per l’artwork del nuovo album, affidato a “quelli” della Hipgnosis. Il resto è storia, col maiale gonfiabile che galleggia fra le ciminiere per poi liberarsi dalle funi e seminare il panico sui cieli di Londra. Talmente forte quell’immagine che ancora oggi è impossibile guardare la centrale, che potete notare anche in diversi films e serie tv, senza pensare al gruppo inglese.

Restando a Londra il pensiero va agli Who e alla raccolta di brani  Meaty, Beaty, Big & Bouncy del 1971.
L'atletico (Roger Daltrey), il pulsante (Keith Moon), il grande (John Entwistle) e il saltellante (Pete Townshend), ormai affermate rockstars, si affacciano da una finestra per sbirciare una banda di ragazzini che li ricorda parecchio. Sul retro la scena è invertita con i “pischelli” che guardano i quattro Who. L'edificio è modesto quasi volessero sottolineare le loro origini, non solo geografiche ma anche, e soprattutto, proletarie. La foto interna della copertina apribile è dedicata al Railway Hotel, pub ritrovo storico dei Mods e palcoscenico sul quale gli Who salirono più d'una volta ad inizio carriera. 

Un album poco conosciuto dal grande pubblico, ma certamente fra i gioielli più preziosi della scena psichedelica inglese, è “Music in a doll’s house”, album d’esordio dei Family, lavoro impreziosito, oltre che dalla classe dei musicisti, dalla produzione di Dave Mason dei Traffic. La riproduzione della casa da bambole del secolo precedente ottiene l'effetto di farci perdere nei dettagli delle stanze, nella distribuzione degli spazi, nel tentativo di capire chi fra i componenti del gruppo stia facendo cosa. E' Roger Chapman quello che restituisce la tazzina alla bambola rivolta verso il tavolo da cucina? Come farà a lavarsi Rick Grech in quella minuscola tinozza lassù all'ultimo piano (mentre John Whitney pizzica un banjo nella stanza accanto)? E che dire di Jim King e di quel televisore portatile nel quale sembra essersi perso? 

Keith Morris sarà l'unico fotografo a poter lavorare con Nick Drake, riuscendo sempre a cogliere qualcosa in più del semplice ritratto, come nello scatto che lo ritrae in un’angusta mansarda per la copertina di “Five leaves left, in equilibrio fra luce ed ombre, proprio come la musica del grande artista inglese. Ma è la foto s sul retro che ci racconta ancora qualcosa dell'artista, fermo, appoggiato ad un muro di mattoni mentre intorno a lui tutti corrono...quasi a voler sottolineare la distanza fra la frenesia del vivere quotidiano e la sua altissima poesia sonora. Mai un retro copertina è stato così potente ed incisivo.

Se vogliamo prendere in considerazione i giardini vanno citati la semplice eleganza dello scorcio protagonista della copertina di “Unhalbricking dei Fairport Convention, l'album della transizione, della "personalizzazione" del sound e dell'identità della band, lanciata ormai a ridefinire l'approccio al folk inglese. La prima edizione inglese non riportava né il nome della band né quello dell'album; non solo, in primo piano non ci sono i musicisti, bensì i genitori della cantante Sandy Denny. Scelte coraggiose e geniali, come quella porta socchiusa che sembra invitarci a raggiungere la band, rilassata nel giardino inglese alle spalle di Neil ed Edna Denny. 


La gioventù, i ricordi con l’aggiunta di una buona dose di malinconia sono le componenti del bellissimo artwork di “For Everyman” di Jackson Browne. Ancora un giardino, questa volta quello di Abbey San Encino, la casa di Highland Park nella quale Jackson Browne era cresciuto; nella prima edizione USA la fotografia che ci mostra il giardino della casa con l'artista seduto su di una sedia a dondolo in realtà è sulla busta interna, una volta tolta la quale, grazie alla cosiddetta "cut out cover" il giardino ci appare vuoto. Un modo originale ed emozionante per accennare al proprio passato, ai ricordi, al tempo che, inesorabilmente, cambia le cose.

Entrare in studio ed uscirne con musica per qualcosa più di un singolo album, decidere di trasformare il nuovo lavoro in doppio album pescando fra brani rimasti fuori dagli ultimi tre albums e consegnare alla storia del rock un vero e proprio masterpiece è roba che solo una band del calibro dei Led Zeppelin poteva permettersi. “Physical Graffiti” è un lavoro ricco, articolato, intrigante che necessitava di un artwork adeguato; una copertina basata su di un caseggiato di New York attraverso le cui finestre (intagliate nel cartone) si potevano individuare ora il titolo dell'album, ora personaggi ed icone di vario genere, intercambiabili a seconda della posizione assegnata alle buste che contenevano i vinili. I due edifici di cinque piani fotografati per la copertina dell'album si trovano al 96 e al 98 di St. Mark's Place a New York City. La fotografia originale ha subito una serie di modifiche per arrivare all'immagine finale; il quarto piano dell'edificio ad esempio è stato ritagliato per adattarsi al formato quadrato della copertina. L'anno seguente il disco ricevette una nomination per un Grammy Award nella categoria "best album packaging", dettaglio che ci racconta di come in quegli anni la validità di un lavoro discografico fosse valutata su aspetti il cui valore è andato, purtroppo, via via sminuendo.


461 Ocean Boulevard” è l’album che segna il ritorno di Eric Clapton dopo un lungo periodo di riabilitazione da una pesante dipendenza dall'eroina. Un album da due milioni di copie (contenente l’indimenticabile rilettura di "I shot the Sheriff" che avrà il merito di portare ulteriormente Bob Marley e la musica reggae verso il grande pubblico) il cui titolo si riferisce all'indirizzo della casa scelta dal chitarrista inglese come residenza durante le registrazioni dell'album tenutesi ai famosi Criteria Studios di Miami. La casa in questione è ovviamente quella fotografata in copertina, presa letteralmente d'assalto dai fans nei mesi successivi la pubblicazione dell'album, al punto che si arrivò alla decisione di cambiarne l'indirizzo. 


Sul fronte dell’architettura d’interni gli esempi sono davvero molti, per cui chiudo questa breve carrellata citandone una per tutte, vale a dire l’artwork dell’album After midnight” dei Manhattans, uno fra i più noti gruppi vocali americani di R&B, titolari, nella lunga carriera iniziata nel 1966, di hit come "Kiss and Say Goodbye" o la "Shining Star" contenuta in questo Lp. C'è stato del sesso, passionale e travolgente come si evince dai capi di abbigliamento sparsi disordinatamente per il salotto (compreso un calzino finito fin sulla abat jour), conclusosi di fronte al caminetto, come fa pensare quella gamba femminile accavallata alla spalliera del divano. Bello perdersi nei dettagli di questa cover (opera di Mark Hess illustratore già responsabile di copertine per Humble Pie, John Scofield, Al Di Meola), a partire dagli elementi di arredo, il gatto appollaiato sul camino e, non ultimo, il fatto che a terra giacciano ben più delle due paia di scarpe che ci si aspetterebbe. 


In chiusura un album che cita l’architettura nel titolo oltre che nella forma, “Architecture & Morality degli Orchestral Manoeuvres in the Dark.  La copertina del loro terzo album (opera di Peter Saville, noto per i lavori realizzati per Joy Divisioni e New Order), uscì in tre gradazioni di colore differenti, ed è una delle cosiddette “die-cut”,  con un’apertura che lascia intravedere il disegno riportato sulla busta interna. Andy McCluskey, frontman del gruppo, ha dichiarato che il titolo Architecture & Morality rappresentava l'interazione tra gli aspetti umani e meccanici degli O.M.D: "Avevamo l'architettura (rappresentata dalla tecnologia, dalle drum machine, dal modo di suonare rigido e dal tentativo di uscire dagli schemi suonando suoni appositamente creati) e la moralità', l'organico, l'umano, il tocco emotivo, che abbiamo portato naturalmente." 


Questi ovviamente sono solo alcuni esempi nella speranza che queste mie righe abbiano stimolato la vostra curiosità… a voi ora continuare la ricerca.