Il viaggio immaginato e narrato in The Dark Side of The Moon

di Marco Bracci (autore di The Dark Side of the Moon. Viaggio nell'identità di Pink Floyd, Aereostella, 2013)

Sono trascorsi ben 51 anni dall’uscita di The Dark Side of The Moon, i Pink Floyd non esistono più, ma il prisma è sempre lì, impresso nell’immaginario collettivo di milioni di persone, a rappresentare una storia iniziata nel 1973.
 
Il concept dell’album è il viaggio tortuoso che compie l’essere umano sia con un atteggiamento frenetico e attivo, sia con fare rassegnato e indolente, nel tentativo di auto-riconoscersi e di farsi riconoscere dagli altri, rischiando spesso di scontrarsi con la percezione e l’immagine faticosamente auto-definita e auto-costruita.
La luna resta sicuramente un mistero e, per certi versi, avvolto dal mistero rimane anche l’essere umano che, cercando di vivere la propria esistenza, è continuamente costretto a “leggere” riflessivamente i contesti nei quali agisce.

The Dark Side Of The Moon racconta il viaggio dell’esistenza umana alla ricerca dell’identità: paradossalmente per i Pink Floyd, che creano l’album perfetto (almeno commercialmente parlando) e che si sforzano di lavorare come un gruppo coeso proteso verso il medesimo obiettivo trovando una certa magia, inizia la fine del proprio viaggio cominciato alcuni anni prima con Syd Barrett, il “diamante pazzo” evocato in Shine On You Crazy Diamond due anni più tardi nell’album Wish You Were Here (1975).

Il concetto dell’intero lavoro parte, così sostiene Waters, da un incontro nella cucina di Mason, durante il quale il bassista propone la vita, a partire dal battito del cuore.
Anche se non si può parlare di un “quinto” componente dei Pink Floyd, è necessario sottolineare il ruolo determinate svolto da Alan Parsons, sound engineer di The Dark Side Of The Moon. Alan Parsons, che in futuro intraprenderà anche la carriera di musicista, fondando gli Alan Parsons Project, durante i mesi di lavorazione di Dark Side riesce a invertire il ruolo dello studio di registrazione, per come è stato concepito, quasi sempre, nell’ambito della popular music e del rock in modo particolare: non più come elemento al quale la musica deve piegarsi, ma al contrario come variabile dipendente dalla musica stessa. Inoltre, lo studio, grazie alle innovative tecnologie a disposizione ad Abbey Road, diventa parte del processo creativo e compositivo. Parsons dice di essere stato avvantaggiato anche dal fatto che i Pink Floyd arrivano in studio dopo mesi di concerti nei quali hanno potuto provare e sviluppare gran parte dei brani inseriti nell’album; per questo motivo, partendo con idee già abbastanza chiare, sotto il profilo musicale e concettuale, la maestria di Parsons trova terreno fertile e un gancio al quale appendere la propria creatività.

Da aggiungere alle competenze tecniche e a buone basi artistiche, un carattere pacifico, utile specialmente durante le prove in studio per stemperare gli animi e mediare tra la personalità di Waters, spesso difficile da gestire, e quelle degli altri membri, Gilmour e Wright, soprattutto, visto che Mason tutto sommato non è proprio passivo, ma sicuramente non ha un’indole portata allo scontro.
Alan Parsons vincerà anche un Grammy Award nel 1973 per l’album migliore dal punto di vista tecnico, anche se in Dark Side non ricopre semplicemente il ruolo di tecnico del suono, ma deve inserire i rumori concreti nelle registrazioni (il battito cardiaco, i passi, gli orologi, i registratori di cassa ecc.), riuscendo ad arricchire i brani e contemporaneamente a “vestire” l’intero album secondo la necessità indicata dal concept che regge lo stesso. A questo proposito, è lo stesso Parsons a registrare le molte frasi parlate e a inserirle come commenti di momenti particolari, riuscendo ad integrare perfettamente tutto con la narrazione. Il risultato è un mondo sonoro che non solo accompagna la creazione artistica dei Pink Floyd, ma diventa esso stesso parte imprescindibile dell’album, che ha una lenta e frammentaria gestazione, non tanto per la mancanza di idee, quanto piuttosto per la continua ricerca operata dai Floyd nel fornire una coerenza in grado di innalzare il livello complessivo dell’opera. E in questa ricerca, Parsons è stato determinante e provvidenziale. L’uomo e il professionista giusto nel momento giusto.

Il viaggio che Roger Waters, con i suoi testi, immagina, crea e presenta attraverso The Dark Side Of The Moon è caratterizzato dall’attivazione di processi emotivi, psicologici, relazionali, nei quali emergono fortemente le posizioni assunte dalla persona che si trova in un tragitto segnato dalle tre fasi tipiche del viaggio: separazione/partenza, transito, arrivo (a volte persino ritorno).
Il viaggio dell’identità narrato nell’album è anche quello dell’identità di una band all’inizio di una crisi, magari non consapevolmente percepita.
Perciò, il tema portante dell’album, pensato da Waters, vale a dire la narrazione dell’identità, ben si addice al complicato processo che i Pink Floyd stanno per affrontare. Inoltre, ad elevare la valenza metaforica dell’opera, il concept del disco è costruito mantenendo connessioni, legami e innanzitutto continuità tra una traccia e l’altra, la stessa continuità che l’identità personale dovrebbe avere per potersi dire coerente.
A differenza dei lavori precedenti, Dark Side non ha una suite scomposta in tante parti, ma la sua struttura è formata da singoli brani, cantati e strumentali, che si alternano (quasi sempre) nel viaggio musicale proposto, comunicando sensazioni e pensieri attraverso i testi e attraverso le atmosfere indotte dalla sola musica miscelata ai rumori: una proposizione di fasi della vita dell’essere umano che, giocando su continuità e discontinuità, su fermate e ripartenze, è intento a ridefinire la propria identità.

Tutto ciò che l’individuo ha fatto, detto, pensato, sentito…tutto quanto trova una sua armonia nell’esistenza umana, sotto il sole, ma il sole è eclissato dalla luna. In realtà, come recita il parlato finale, “There is no dark side of the moon really. Matter of fact it's all dark”. Tutta l’identità è oscura: benché l’individuo tenti, nel corso della propria esistenza, di trovare soluzioni e vedere la luce, sembra non poter risolvere l’enigma identitario, ma parimenti è condannato, come narrato lungo tutto l’album, a vivere, respirare, correre, costruire. Allora, emerge chiaramente ciò che rimane dell’esperienza umana nella modernità, vale a dire il senso che, quotidianamente e nel corso degli anni, deve essere ricercato con la certezza che la follia può essere sempre dietro l’angolo e che la finitezza umana rende l’individuo maggiormente consapevole dei suoi limiti ma al tempo stesso anche il primo responsabile di tutto ciò che gli accade. E il battito cardiaco che chiude l’album sta a significare che, dopo tutto e nonostante tutto, l’individuo è ancora vivo, e forse già pronto a ricominciare un altro viaggio, il viaggio dell’identità.
 
Buon viaggio e buon ascolto!