Spazi rock e oltre
Spazio, un termine che al solo pensiero riesce a dare un senso di piena libertà tanto quanto di sgomento di fronte ad un qualcosa di immenso. Negli anni ’60 lo spazio sopra le nostre teste si trasformò in un nuovo terreno di competizione e confronto fra le due superpotenze, USA e URSS senza peraltro perdere la fascinazione esercitata da quei mondi ora meno lontani, anzi forse addirittura raggiungibili. Emozioni, suggestioni che presto cominciarono una costante frequentazione con la grafica applicata alle copertine dei dischi a partire, nel 1968, dalla colonna sonora del capolavoro di Stanley Kubrik.
Cronache spaziali, suggestioni musicali o colonne sonore sono rappresentate in egual modo con navicelle spaziali di varie fogge.
Lo spazio come ideale soggetto per aggiungere ulteriori suggestioni a pietre miliari del prog-rock: una bilancia galleggiante nello spazio, dal cui bilanciere parte un raggio che si focalizza su Londra e, all’interno, un dipinto in linea col titolo dell’album (vale a dire la reazione esotermica fra Sole e stelle), saranno la scelta con cui Paul Whitehead deciderà di “vestire” il terzo album dei Van Der Graaf Generator, “H to He, Who am the Only One” mentre, l’anno seguente, la Terra (ed un fondale a farle da contorno) saranno l’ulteriore contributo a viraggio “space” che l’artista consegnerà alla band inglese, questa volta per l’album ” Pawn Hearts”.
La nebulosa Trifid della costellazione del Sagittario sarà usata dai King Crimson per la copertina di “Island” e, curiosamente, anche da Cat Stevens per quella decisamente più elaborata di “Numbers”.
Un’altra nebulosa, situata probabilmente «fra il nulla e l’eternità», sarà la protagonista di “Between Nothingness & Eternity” della Mahavishnu Orchestra.
ed è probabilmente lassù che stanno ancora navigando i corpi “sparati” da Tony Wright nel disegno della copertina di “Shoot out at the fantasy factory” dei Traffic o gli abiti dei cinque Supertramp impressi nella busta interna di “Crime of the century”, tutti librandosi plastici e leggeri quanto la sagoma di donna che fa bella mostra di sé sull’album omonimo dei Free.
A ricordarci quanto furono “ricchi” i packagings di molti albums negli anni ’70 c’è anche il quarto degli Wings, quel “Venus and Mars” dalla grafica di copertina essenziale quanto efficace (opera della Hipgnosis), pubblicato, nella prima ricca edizione, con un adesivo, due poster ed una sorta di guida comparativa delle dimensioni di Sole e pianeti.
Era il 1971 quando gli UFO col loro terzo album inaugurarono il termine “Space-rock”,
filone profumato di psichedelia e hard rock che in quegli anni avrà fra i protagonisti gruppi come Hawkwind, Eloy, Gong pronti a riempire di suggestioni spaziali gli artworks (spesso ricchissimi per contenuto e forma) di album indimenticabili come “Space Ritual”, “In search of space” “Inside” o “Radio Gnome invisible – Flying teapot”
Restando nel campo delle copertine particolarmente spettacolari come non riconoscere lo stile inconfondibile di Roger Dean nella copertina (apribile a poster) di “Space Hymns”, esordio di quel bizzarro personaggio rispondente al nome di Barrington Frost (in arte Ramases), artista britannico convinto di essere la reincarnazione dell’omonimo celebre faraone
mentre, sul fronte statunitense, vanno ricordate le “space cover” che impreziosiscono i lavori di Parliament o George Benson
E quale migliore veste grafica avrebbe potuto avere “La donna cannone” se non quella disegnata dallo stesso Francesco De Gregori?
Ma lo spazio può essere inteso anche in altri modi, come quello “caldo” di “Hot Space”, l’album nel quale i Queen inseriscono nuove ed inedite sonorità, racchiuso in una copertina che suona come un chiaro tributo allo stile di Andy Warhol.
La percezione dello spazio è invece il tema della cover di “On the level”, ottavo album degli Status Quo che ci propongono una copertina rientrante nella categoria di quelle basate su ricercate illusioni ottiche; i quattro componenti il gruppo sono infatti ritratti in una “Stanza di Ames”, stanza dalla forma distorta capace di creare un'illusione ottica di alterazione della prospettiva. Inventata dall'oftalmologo americano Adelbert Ames nel 1946, è costruita in modo che, vista frontalmente, appaia come una normale a forma di parallelepipedo. In realtà la stanza ha forma di trapezio, le pareti sono divergenti, e il pavimento e il soffitto inclinati. Per effetto dell'illusione una persona in piedi in un angolo della stanza appare un gigante, mentre quella situata nell'angolo opposto sembra minuscola. L'effetto è così realistico che una persona che cammini da un angolo all'altro sembra ingrandirsi o rimpicciolirsi.
Spazio che può anche essere anche quello fra due persone e i loro sentimenti come quello magistralmente raccontato, questa volta in musica e versi, da Dave Matthews nel brano “The space between” con quale mi congedo, non prima di consigliarvene caldamente l’ascolto, magari ad occhi chiusi.
https://www.youtube.com/watch?v=H67uEgRZs2Y
“Non puoi lasciarmi così
Non mi dai speranza
Nessun angolo in cui insinuarmi
Ma io ho tutto il tempo per te, amore
Lo spazio che c´è
Tra le nostre lacrime
È la risata che ce ne fa desiderare altre
Lo spazio che c´è tra
Le bugie maligne che diciamo
Sperando di tener lontano il dolore
Potrò riabbracciarti?
Queste parole confuse e volubili mi frastornano
Come: ´Pioverà, oggi?´
Sprechiamo il tempo a parlare, parlare
Con questi giochi contorti che facciamo
Siamo degli strani alleati
Con cuori che si fanno la guerra
Quanto sei infuriata...
Lo spazio che c´è
Tra le bugie che diciamo
Nella speranza di proteggerci dal dolore
Guardarci roteare nella pazzia
Delle montagne russe
Sei impazzita come il diavolo in chiesa
In mezzo ad una stanza affollata
Possiamo solo sperare, amore,
Di non fare affondare questa nave
Lo spazio che c´è
Dove sorridi e ti nascondi
È dove mi troverai se riuscirò ad andarci.
Lo spazio che c´è
Tra i proiettili dei nostri duelli
È dove mi nasconderò mentre ti aspetto...
La pioggia che cade
Ti inzuppa il cuore
E corre come tristezza lungo la finestra nella tua stanza
Lo spazio che c´è
Tra le nostre amare bugie
È dove speriamo di proteggerci dal dolore
Prendi la mia mano
Ce ne andiamo via da qui
Oh, fuori di qui
Non ci serve altro che amore.
Lo spazio che c´è
Tra giusto e sbagliato
È dove mi troverai nascosto mentre ti aspetto.
Lo spazio che c´è
Tra il tuo cuore e il mio
È lo spazio che riempiremo col tempo
Lo spazio che c´è…”