Siiii viaggiare ...
di Paolo Mazzucchelli
Il viaggio, tema intrigante che può essere affrontato da diversi versanti, a cominciare ovviamente dai mezzi con cui lo si affronta siano essi di locomozione, chimici, legati all’immaginazione o alla letteratura. Il fatto che abbia deciso di sottotitolare il mio format “I VESTITI DELLA MUSICA” come “Viaggio fra le meraviglie della copertine dei dischi” sta a ricordare l’invito che amo ripetere durante le mie serate, vale a dire perdersi all’interno delle copertine stesse, lasciandosi trasportare da quel flusso di immagini, colori, dettagli, messaggi con il quale i grafici o gli artisti stessi hanno deciso di riempirle, rendendole oggetto in grado di regalare sorprese e piacere anche dopo ripetuti sguardi.
L’auto della Allman Brothers Band ferma in una piccola stazione di servizio del Sud degli States ci fa immaginare la vita on the road della band, divisa fra i concerti e i chilometri percorsi fra una data e l’altra.
La copertina di “Wipe the windows, check the oil, dollar gas” (1976) è ricca di dettagli capaci di far respirare le atmosfere del profondo sud, mentre quella di “Oakie” (1974) ci riporta l’immagine del musicista hobo, pronto a saltare sulla prima carrozza di un treno merci, ovviamente in compagnia dell’immancabile chitarra.
Treni, automobili, aeroplani e motocicli concorrono spesso a creare suggestioni grafiche sugli albums dei più svariati artisti riportando sia al tema del viaggio che a quello della fuga.
In bianco e nero è il mettersi “In viaggio” (1992) di Fabio Concato, con quella foto che tanto profuma d’album di famiglia mentre è una rosa dei venti il soggetto della cover, opera di Roberta de Tuddo, per “Appunti di Viaggio” (1982), quinto album di Paolo Conte.
Un imprevisto viaggio nel tempo sembra aver sorpreso i componenti del combo jazz-rock The Flock sulla cover di “Dinosaur Swamp” (1970) album che nella copertina interna ci porta nella cabina del capitano d’un vascello d’altri tempi, con tanto di mappa, strumenti di misurazione, teschio portacandela e altri dettagli in cui perdersi.
Ancor più indietro viaggiano i Grand Funk Railroad trasportati dalle terre del più infuocato hard rock ad un tempo dove il fuoco era indispensabile fonte di sopravvivenza. “Survival” (1971)
Con la cover di “The Captain and me” (1973) i Doobie Brothers sembrano suggerirci che dove il progresso bruscamente si interrompe l’unico modo di viaggiare sia quello di un ritorno al passato, su di una strada sterrata e con una carrozza trainata da cavalli.
Altrettanto affascinante può essere il viaggiare con la fantasia sull’onda di una opera letteraria, come accade nell’album di Rick Wakeman “Journey throught the center of the earth” (1974), ispirato al celebre romanzo di Jules Verne e realizzato con un prezioso libretto di otto pagine spillato nella copertina apribile.
Qualche anno prima, parafrasando il celebre titolo, altri due gruppi si erano cimentati nella realizzazione di album interessanti ma affatto memorabili: gli Amboy Dukes della futura rockstar Ted Nugent suggerivano un “Viaggio al centro della mente” (magari aiutato dall’uso più o meno legale degli svariati attrezzi da fumo presenti in copertina) mentre gli anglo/danesi Nektar col loro “Journey to the Centre of the Eye” (1971), realizzavano un'opera rock basata su di un astronauta che, in viaggio verso Saturno ed incontrati degli alieni, veniva portato nella loro galassia per essere inondato di conoscenza e saggezza.
A metà anni ’60 con lo slogan "Turn on, tune in, drop out" ("Accenditi, sintonizzati, abbandonati") il dottor Timothy Leary iniziò a sperimentare gli effetti di sostanze psichedeliche come LSD o funghi allucinogeni visti come “… una chiave chimica in grado di aprire la mente e liberare il sistema nervoso dagli schemi e dalle sue strutture ordinarie.”, annunciando al mondo che “…un'esperienza psichedelica è un viaggio verso nuovi reami di coscienza...”.
Il suo pensiero venne reso disponibile al grande pubblico grazie alla coraggiosa etichetta ESP con l’album “Turn on, Tune in, Drop out” (1966) dalla suggestiva copertina in bianco e nero.
Quando un anno più tardi il suo “Vangelo” giunse nelle sale cinematografiche sotto forma di documentario l’artwork della relativa colonna sonora divenne più accattivante, appariscente e colorato in linea col mood psichedelico di quei giorni.
Anche Ken Kesey (scrittore, saggista e anello di congiunzione tra la Beat Generation degli anni '50 e gli hippy degli anni '60) si cimentò con un progetto simile. “The acid test” (1966) è la documentazione di un viaggio a base di LSD registrato in studio, nella quale le parole di Kesey sono accompagnate da poesie, fantasiosi giochi mentali, loop di nastri e con i Grateful Dead a fornire un adeguato sottofondo musicale.
In chiusura va ricordato anche il viaggio alla ricerca dell'IO, di una nuova dimensione spirituale rappresentata, oltre che dai suoni contenuti negli albums, dai segni grafici delle copertine che li custodiscono.
Frequente è la presenza del loto, considerato simbolo di benessere, purezza e rinascita spirituale, associato ad un percorso di elevazione spirituale, di distacco dal mondo materiale, di speranza e fiducia nel futuro, nonché al cambiamento e all'inizio felice di un nuovo percorso.
Significative in questo caso sono le copertine ricchissime dei primi albums della band Quintessence “In blissfull company” (1969) e “Dive Deep” (1971).
Diverse rockstars scelsero di intraprendere questo percorso sotto la “spiritual guidence” di svariati guru, raccontandolo attraverso dettagli nelle copertine dei loro dischi, come George Harrison con “Dark Horse” (1974) o Donovan (anche lui fresco dell’esperienza indiana insieme ai Beatles) con “A gift From a flower to a garden” (1968).
Carlos Santana (che nel 1973 cambiò il suo nome in “Devadip” dopo esser stato introdotto agli insegnamenti di Sri Chinmoy dal collega chitarrista John McLaughlin) suggellò l’incontro con l’album “Love Devotion Surrender” (1973)
mentre la sua spiritualità ci viene ampiamente ricordata in album come “Illuminations” (1974),
“Devadip” (1980)
o dal ricchissimo artwork fold-out del triplo album live “Lotus” (1974).
Sul fronte “nostrano” impossibile non citare Claudio Rocchi, il quale incarnerà il desiderio di viaggio e affrancamento dagli stantii valori della generazione “adulta” con l’album “Viaggio” (1970) che, oltre a contenere il brano manifesto di una generazione “La tua prima luna”, in copertina ci mostra l’immagine dello stesso artista che, dandoci le spalle, si allontana verso nuove mete.
LA TUA PRIMA LUNA
Questa è la tua prima luna che vedi
fuori di casa sapendo di non ritornare
Oggi sei uscito e ti sei domandato
ma dove sto andando e che cosa farò
Sei finito in un prato mangiando una mela
comprata passando dal centro
dove i tuoi amici parlavano ancora
di donne e di moto e tu ti fumavi
la gioia di essere riuscito a fuggire di casa
portandoti dietro soltanto la voglia
di non ritornare
Hai pochi soldi sai bene domani
nessuno ti aiuta se hai voglia di chiedere aiuto
ma in quella prigione dove ti hanno insegnato
ad amare poche persone alla volta non vuoi ritornare
Vuoi amare più gente vuoi vivere in mezzo alla gente
E mentre tu dormi su un prato sentendo un po' freddo
con dentro una voglia di piangere forte
tu vedi passare una macchina verde della polizia
Non ti vedono neanche
li senti andar via e capisci di colpo
che il loro discorso è diverso dal tuo.