...Will you ever remember me? 

(“Once I was” – Tim Buckley) 

di Paolo Mazzucchelli

 
Riprodurre mentalmente un’esperienza passata fatta di sensazioni emozioni o immagini è una di quelle cose con cui spesso finiamo per confrontarci, in maniera più o meno piacevole, nell’arco della nostra vita, ognuno con caratteristiche proprie ed uniche e allo stesso tempo universali. Nella memoria ho ancora bene impressi alcuni momenti talmente carichi di significato da essere i primi ad uscire prepotentemente quando ripenso al mio rapporto con la musica, come ad esempio la sensualità malinconica che mi dava l’ascolto (ripetuto decine di volte) di “Minuetto” di Mia Martini, l’ultimo ascolto da “ragazzino” prima del passaggio a scelte e suoni più “adulti”.

Solo un annetto più tardi consegnai i miei risparmi ad un amico che studiava a Pavia per l’acquisto di quello che fu il mio primo LP, l’esordio discografico del Banco del Mutuo Soccorso; l’attesa che pareva non finire mai (chi studiava all’università tornava a casa solo ogni due /tre settimane) e poi finalmente quella copertina fra le mani e le note di “R.I.P.” nelle orecchie e nel cuore

Non dimenticherò mai nemmeno quel pomeriggio in cui il “Picci” mi condusse di fronte alla sua magnifica collezione di vinili; gli ascolti si rincorrevano sin quando, mettendo sul piatto “Goodbye and hello” di Tim Buckley, sentenziò: “Ascolta questo, come lui nessuno!”. 

Dopo qualche minuto chiesi cortesemente di toglierlo e di passare ad altro, non faceva per me. Ci sarebbero voluti altri dieci anni per incontrare nuovamente quel disco e, stavolta, innamorarmi perdutamente della musica di questo grande artista, a conferma che, a volte, è solo questione di trovare il momento giusto. E, sempre restando ai primi anni della mia passione musical/discografica, come non pensare ad un’altra accezione della parola “memoria”? Pochi soldi e pochi dischi, ognuno dei quali letteralmente “imparato a memoria”, goduto sin nei minimi particolari, comprese le meravigliose storie che sin da allora le copertine riuscivano a raccontarmi. C’è poi un capitolo dedicato alla memoria “personale” e quella “storica”, parti integranti delle copertine: la prima a caratterizzare quelle di album come “Memories” di John Mayall, autentico album di famiglia in bianco a nero,


 “Radici” di Francesco Guccini (due modelli di famiglia a confronto?),

decisiva nella scelta di John Lennon e Yoko Ono di mettere sul retro dei rispettivi “Plastic Ono Band” due fotografie che li ritraggono bambini.

Per quanto riguarda la memoria “storica” la sensibilità di gruppi e artisti nei confronti di ciò che accade (è accaduto) nella società ci offre una gamma di esempi decisamente ampia. Intitolare il proprio album d’esordio “Arbeit Macht Frei” aiuta a non dimenticare l’immane tragedia dell’olocausto ogni volta che si prende in mano questo disco degli Area, il cui brano d’apertura “Luglio agosto settembre nero” punta il riflettore anche su un altro argomento caldo del nostro secolo come la questione palestinese. 

Quattro sono gli anni che separano questo album da “Cantata Rossa Tall El Zaatar (“La collina del timo”, in arabo), il LP inciso dal jazzista Gaetano Liguori per ricordare il massacro consumatosi in quella bidonville alla periferia di Beirut-est, la cui popolazione, nel 1976, subì una pulizia etnica condotta dalle milizie falangiste cristiane per eliminare dalla parte orientale di Beirut, da loro controllata, qualunque presenza palestinese e musulmana. 

Album e artwork che continuano a mantenere viva la memoria di eventi cruciali nella storia del XX° secolo, dalla resistenza al nazi fascismo di “Un biglietto del tram” (1975) degli Stormy Six, 

alla violenta repressione della polizia americana nei confronti delle manifestazioni studentesche degli anni ’60 in “You never know who your friends are” di Al Kooper, 

sino alla copertina dell’album omonimo dei Race Against The Machine col famoso scatto del monaco buddista Thick Quang Dec che nel 1963 si diede fuoco a Saigon per protestare contro le politiche messe in atto dal presidente Diem. 

Le tribolate vicende irlandesi trovano spazio in diversi artworks come la rivolta di Pasqua del 1916 a Dublino (“We’ll talk about it later” dei Nucleus - copertina di Roger Dean),

gli scontri del 8 luglio 1971 a Derry (“Killing Joke” del Killing Joke)

cosi come nel bellissimo scatto che troviamo sulla copertina del singolo “Alternative Ulster” degli Stiff Little Fingers.

La memoria, anche quella offuscata da nebbie dense di sostanze e drammi personali che porteranno David Crosby a scegliere un titolo emblematico per il suo capolavoro del 1971 “If I could only remember my name”, gioiello sonoro e grafico, con quel tramonto che pare una lacrima dorata a bagnargli il viso.