Pensieri e Parole

di Luca Pallini


“Parole, non son altro che parole”, così esordivano Nico e i Gabbiani nel 1967  con la canzone chiamata appunto “Parole” dove si percepisce chiaramente che oltre a parlare sarebbe bene passare ai fatti, un po’ come la pensa Mina duettando con Alberto Lupo nel brano che fa da sigla di chiusura  della trasmissione Teatro 10 “Parole, parole”.
C’è poi chi di questi lemmi ne usa tantissimi come i Jalisse in “Fiumi di parole”, o chi si accontenta di tre parole soltanto come Valeria Rossi, le stesse tre parole che citano i Beatles nel 1965 con la canzone Michelle” e con quella frase che oltre che nella lingua di Albione viene ripetuta in francese, conosciuta a memoria da tutti gli appassionati di: ”Michelle ma belle, sont les  mots qui vont tres bien ensemble”.

Tantissime sono le canzoni che potrebbero essere citate e tra queste ho scelto come titolo dell’articolo “Pensieri e parole” di Lucio Battisti perché trovo questo abbinamento perfetto per parlare di melodie e testi.

Se prendete in mano lo spartito di una qualsiasi canzone con un testo, vedrete tra i cinque righi musicali le note che compongono la melodia e sotto, in maniera corrispondente, le lettere, quasi sempre sillabe, che seguono il motivo. Non è un caso infatti se in inglese la parola testo viene denominata lyric, perché proprio di lirica parliamo. Penso inoltre al taccuino che usiamo spesso per prendere appunti, questo block-notes che sembra essere li a ricordarti il bellissimo intreccio tra parole e note.

Credo che nella stesura di un brano la realizzazione di una buona melodia sia fondamentale per arrivare direttamente all’ orecchio dell’ascoltatore perché è la prima cosa che riusciamo a percepire al volo, poi dopo due o tre volte che ascolti la canzone inizi anche ad analizzarne il testo, ma ci sono dei casi, e ne citerò soltanto due, dove al contrario “arrivano” prima i testi delle note stesse. Penso a Signor tenente” di Giorgio Faletti e a “Ti regalerò una rosa” di Simone Cristicchi, dove a mio modesto parere non ci sono melodie particolarmente esaltanti ma le parole pesano come macigni.

Quante volte inoltre ci siamo chiesti se nello scrivere una canzone l’artista parta dalla melodia o dal testo stesso. Una domanda alla quale è quasi impossibile rispondere perché nel vasto panorama musicale ogni artista usa modi diversi; sempre per fare due esempi prendiamo il caso di due coppie molto affiatate come “Battisti-Mogol” e “Elton John-Bernie Taupin” con due modi completamente diversi di realizzare le loro canzoni.
Nel primo caso era Lucio che scriveva la melodia e Giulio Rapetti costruiva le parole, nel secondo Bernie scriveva le liriche ed Elton le musicava, l’importante però era ottenere dei risultati, e loro ne hanno ottenuti davvero tanti.

Ma quanto sono importanti le parole per una canzone? Direi tantissimo e in alcuni casi sono fondamentali. Pensiamo a Mozart, Verdi, Rossini e molti altri i quali, grazie anche al contributo di librettisti come Arrigo Boito e Lorenzo Da Ponte, hanno creato grandi opere liriche divenute immortali, unendo la parte sinfonica con il canto.

Andando più indietro nel tempo possiamo pensare agli aedi, ai rapsodi, ai menestrelli fino ad arrivare ai più recenti “cantastorie”, musici ambulanti che accompagnati da una chitarra e aiutandosi anche con i disegni da mostrare, giravano i paesi raccontando fatti spesso realmente accaduti, o narrando gesta leggendarie come nelle famose “Chanson de geste”medievali.

Questa forma Canzone che veniva portata per le strade, nelle locande o alla corte dei re, nel tempo è diventata più accessibile; già a fine ‘800 alcuni benestanti potevano ascoltarla grazie al grammofono e al 78 giri, ma è con il 45 giri che è entrata nelle case di tutti, con la musica cosiddetta “leggera”.

Parlando di pensieri e parole non possiamo non citare i grandi cantautori degli anni ’70 e ‘80 come De Andre’, Guccini, De Gregori, Fossati ed altri poeti della musica, per i quali sarebbero necessarie pagine e pagine per raccontare una minima parte del loro lavoro.
Ma oltre alle parole impegnate ci sono anche quelle senza senso che grazie alla musica sono entrate in qualche modo a far parte del nostro quotidiano.

Nel 1973 Adriano Celentano, ispirandosi al Nobel Dario Fo maestro del grammelot,  sforna uno dei suoi più grandi successi, anche questo basato su di un solo accordo come aveva già fatto con la canzone “Mondo in Mi 7a”; in questo caso è bastato abbassare tutto di un mezzo tono portandolo in MiB e scrivere parole senza un vero significato, e il risultato è stato la travolgente “Prisencolinensinainciusol”.Ed è con molto piacere che ora faccio riferimento ad uno dei film che più ho adorato, un superclassico Walt Disney del 1964, il bellissimo Mary Poppins, con quella scena dove Mary e Bert si trovano a ballare in mezzo ad animali “cartonanimati”, e dove tutti in coro cantano “Supercalifragilistichespiralidoso, che anche se ha un suono spaventoso ti garantisce un successo strepitoso.

Penso inoltre alla genialità del maestro Franco Battiato che giocando con le parole inserisce nel suo album Pollution del 1972 una canzone con un testo scritto completamente al contrario, ed ecco che un semplice “se mancherà” diventa magicamente “Areknames”.


Dovessi scegliere una sola parola per questo 2022, come suggerisce il tema della rivista, opterei per “vento”, nella speranza che in questo anno soffi un vero vento di cambiamento che, oltre a questo virus, spazzi via ingiustizie e dolori accentuati dalla pandemia portandoci echi di melodie lontane e  armoniose di quei mille violini che solo il vento può suonare, come ci ricorda Carmen Consoli nella sua canzone “L’ultimo bacio”.

Ma il vento, come si sa, è anche un ladro di parole che mi piace pensare possano essere racchiuse in chissà quale parte del mondo per dare risposte, un giorno, alle nostre domande, come suggerisce Bob Dylan nella sua Blowin' in the wind.