La vita è un musical

di Fabio Canessa

La vita è uno spettacolo che solo il musical può rappresentare adeguatamente. È sempre una festa l'irruzione della musica nella nostra esistenza, perché sublima la quotidianità. Sprigiona l'emozione di essere al mondo grazie alla potenza espressiva del ritmo e della melodia, alla carica travolgente della più astratta tra le arti, capace di muovere il corpo e la mente perché prima ha riempito l'anima.
Non è soltanto il piacere di cantare e di ballare, ma l'unica possibilità di rispecchiare fedelmente la vita, con i suoni che, come i colori nella pittura, danno corpo alla nostra interiorità e al contesto che ci circonda (all'io e al non io, dicevano i filosofi idealisti).
 
Quando baciamo la ragazza che abbiamo conquistato dovremmo avere accanto un sassofonista che fraseggia languido, mentre corriamo a perdifiato per non perdere il treno in partenza ci vorrebbe un batterista a scandire freneticamente l'ansia psicologica e l'affanno fisico, un coro gospel sarebbe perfetto per accompagnare il momento della nostra morte. Perché la musica sa trasfigurare in arte l'orgasmo e il delitto, l'esaltazione e la depressione, il sogno e la follia. Niente esprime meglio quella che Kundera chiamava l'insostenibile leggerezza dell'essere quanto Fred Astaire e Ginger Rogers, la violenza delle bande di strada si purifica nelle trascinanti coreografie di "West side story", il Vangelo risuona di mistica rock con "Jesus Christ Superstar ", "The blues brothers" inietta formidabili scariche di swing al divertimento di essere al mondo, "Hair" celebra con melodie apollinee e danze dionisiache il pacifismo hippy, "The rocky horror picture show" trasforma sesso e orrore in un carnevale pop, "Dancer in the dark" converte addirittura denuncia sociale, tragedia esistenziale e impiccagione in un turbine di balli e canzoni, mentre "Sweeney Todd" è un serial killer canterino. Il miglior musical è "Cantando sotto la pioggia ", il più bello tra i recenti è "La la land", ma anche l'animazione Disney è musical, come la poesia di Chaplin e il genio di Kubrick, che orchestra lo spazio con Strauss e l'ultraviolenza con Beethoven.
 
Pochissimi gli esempi italiani: la strepitosa visionarietà di Celentano, il cui vertice è "Yuppi du", il jazz evocativo di Avati e il surrealismo goliardico di Arbore, con "Il papocchio" e "Ffss". Però tutto Fellini è innervato dal musical ("Otto e mezzo" e "Roma" in particolare), l'immensa comicità di Totò è puro musical, l'epica western di Leone ha la ritualità del musical (pensate all'inizio di "C'era una volta il West"). Insomma, ogni volta che la colonna sonora diventa sceneggiatura, la nostra mente si accende, il cuore batte più forte, le gambe si muovono e le emozioni si agitano. 
Diceva Nietzsche "Crederei solo a un Dio che danza ".