Musica in copertina
di Paolo Mazzucchelli
Musica, ovvero “…l’arte di ideare e produrre, mediante l'uso di strumenti musicali o della voce, successioni strutturate di suoni semplici o complessi, che possono variare per altezza, per intensità e per timbro…” (Wikipedia)
La prima ispirazione è figlia del luogo comune che recita più o meno “musica per le mie orecchie”, fulminazione capace di portare alla mente tre artworks con protagonisti padiglioni auricolari, partendo da quello arcinoto ideato da Hipgnosis per l’album “Meddle” (1971) dei Pink Floyd (in alternativa all’idea originale che prevedeva il primo piano dell’ano di un babbuino),
proseguendo con “The roaring silence” (1976) della Manfred Mann Earth Band
per finire con l’artwork a dir poco sgargiante di “Wet Willie.” (1971) dell’omonima band a stelle e strisce.
Chiusa la parentesi “oto” il pensiero si sposta sull’importanza che i vari strumenti musicali hanno rivestito nell’economia grafica di molti prodotti discografici, e qui abbiamo solo l’imbarazzo della scelta.
Il primato di presenze (almeno nella mia ricerca) spetta a quelli a fiato, sax in primis, con questo strumento protagonista di diverse covers jazz a partire dall’inconfondibile stile Blue Note che contraddistingue “Volume 2” (1957) di Sonny Rollins,
cover talmente iconica da venire omaggiata, ventisette anni più tardi, da Joe Jackson per il suo “Body and soul”.
Restando nel campo delle ance mi piace sottolineare l’eleganza dello scatto di “Zootcase” (1976), doppia raccolta di Zoot Sims che, attraverso lo strumento, la valigia e l’abito di scena, ci ricorda la vita sul palco dei musicisti.
Con la copertina di “Baghèt” (1978) Gianluigi Trovesi racconta della sua ricerca nell’ambito della musica popolare e dei suoi strumenti
così come nello stesso anno quella di “Out in the woods” con un delizioso disegno ben raffigura le esplorazioni sonore nell’ambito world music degli Oregon.
Un anno più tardi la cosiddetta scena “No wave” avrà in James White uno dei rappresentanti più significativi anche grazie al suono straziato e straziante di quel sax che lo accompagna anche nello scatto protagonista di “Off White”
mentre tocca ad un design “fumettistico” avvolgere le raffinate sonorità fusion di Tom Scott contenute in “Apple juice” (1981)
La copertina di “Milestones” (1958) offre spunti interessanti sia per l’uso del colore ma soprattutto per la consapevolezza espressa dall’artista con lo sguardo e la postura
mentre i due stupendi scatti di Giuseppe Pino impreziosiscono, se mai ce ne fosse bisogno, “The Pilgrim and the Stars” esordio di Enrico Rava per l’etichetta ECM targato 1975.
Chuck Mangione non ha perso occasione di ricordarci tramite molte copertine della copiosa discografia lo stretto legame col suo strumento, come in “Feels so good” (1977) e “Children of Sanchez” (1978).
Le ultime due della sezione strumenti a fiato rientrano della categoria “ma che ti è passato per la testa?” e appartengono al gruppo polacco Old Metropolitan Band e a Svetlana Gruebbersovik e ai loro “Dixie Funk Spirale” (1974) e “My lips are for blowing” (un titolo un programma!).
Nella stessa categoria rientra senza dubbio alcuno quel virtuoso di Jean Pierre Jumez col suo “The nimble fingers of…” (1973),
grazie al quale mi permetto di traghettarvi nella sezione chitarre ove le arcinote “Brothers in arms” (1985), “Born to run” (1975), ove riappare un sax, e “Slowhand” (1977)
fanno compagnia alla creativa “Jeff Beck’s Guitar Shop” (1989),
e al ricercato artwork che caratterizza “Six strings nine lives” (1978) del chitarrista italo-canadese Walter Rossi, copertina apribile in tre pannelli (l’ultimo dei quali sagomato) che, una volta dispiegati, ci mostrano la sua adorata Gibson.
Dalle corde ai tasti d’avorio di un pianoforte, quelli toccati dalle talentuose dita di Ramsey Lewis sulla copertina di “Love Notes” (1977)
o quelli del verticale presente nella ricchissima e divertente “scenografia” bellica che arricchisce la grafica “Underground” (1968) di Thelonioius Monk.
Di grazia e raffinatezza ci parlano invece il delicato disegno di “Night & Day” (1982),
lo scatto “casalingo” di “Music” (1971) secondo album di Carole King,
ed il geniale artwork di “Killing me softly” (1973) che, una volta aperto, simula la parte superiore della cassa armonica di un pianoforte.
Le possibilità ed i limiti dello strumento voce sono stati il campo di ricerca e sperimentazione di Demetrio Stratos, autore di quel “Cantare la voce” che sin dal disegno di copertina ci racconta il contenuto del suo secondo lavoro da solista.
Non vanno dimenticate le copertine dedicate agli strumenti atti a riprodurre la musica, partendo dall’arcinoto logo della casa discografica HMV
passando per i “ferri del mestiere” quali l’amplificatore sull’esordio discografico della Butts Band (1973), avventura solista degli ex Doors Robbie Krieger e John Densmore.
C’è spazio pure per i registratori da studio, “Cut above the rest” degli Sweet (1979)
così come per il processo di registrazione nella cover (di chiara ispirazione “Basquiattiana) di “Bad Bothers” (1994), mini album di Ronny Jordan e D.J. Krush.
Che ne sarebbe della nostra passione “vinilica” senza i giradischi, meravigliosi strumenti rappresentati nella preziosa copertina sagomata di “Halfbreed” (1975) dell’omonima band inglese
e nel coloratissimo ed iconico artwork di “Off the records” (1977) nuovamente degli Sweet.
“Puntine” cha appaiono pure nel “Best of…” degli Spinners (1978) e in “Rusty tracks” di Mickey Newbury (1977).
“The nightfly” (1982) di Donald Fagen è un lavoro autobiografico pieno di ricordi della propria adolescenza e di sottile nostalgia per una certa America provinciale di fine anni ’50. Fagen vi è ritratto nei panni di un Dj all’opera in piena notte (l’orologio alla parete segna le quattro e nove minuti) mentre sta mandando in onda “Sonny Rollins and the contemporary Leaders” la cui copertina è visibile a fianco del giradischi. Non possono mancare gli inseparabili compagni di viaggio di queste lunghe nottate, il pacchetto di Chesterfield King, i fiammiferi, il posacenere così come gli strumenti di lavoro, il giradischi ed il microfono RCA 77DX.
Programmi radio che arrivano (o meglio arrivavano) a noi grazie anche alle radioline a transistor simili al modello cui si ispira “Transistor blast” (1998), il box antologico live degli XTC.
Nonostante diverse altre copertine premano per entrare in questo articolo direi che può bastare; nell’augurarvi un meraviglioso 2025 chiudo questa mia incursione con una fotografia che ci ricorda quanta potenza sia in grado di sprigionare la Musica quando proviene da una semplice chitarra nelle mani di un grande artista.