Musica ed ecologia

di Paolo Mazzucchelli

Il tema del cambiamento climatico (così come il termine stesso) appartiene più al secolo che stiamo vivendo che non al precedente, così come la scelta da parte di artisti e gruppi di comunicare punti di vista o prese di posizione al pubblico tramite le copertine dei loro prodotti discografici. In quest’ epoca di musica liquida è difficile se non impossibile trovare tracce grafiche significative che accompagnino le uscite discografiche.
Maggior fortuna possiamo averla invece se ci riferiamo agli ultimi decenni del secolo scorso, anni in cui la copertina di un disco veicolava messaggi di vario tipo, compresi quelli che ruotavano intorno ai temi dell’ambiente e dell’ecologia. Inquinamento dell’aria e dell’acqua, timori legati all’energia nucleare, attenzione alle specie in via di estinzione, sono alcuni dei temi che possiamo rintracciare nei dischi di alcuni artisti ben intenzionati a dire la loro sulla salute del nostro pianeta.
Se l’incidente del 1979 alla centrale nucleare di Three Miles Island portò alla nascita del M.U.S.E. (una vera e propria “chiamata alle armi” di artisti e band statunitensi uniti contro i pericoli rappresentati dall’energia nucleare), un chiaro monito sul suo potere distruttivo lo possiamo trovare nella grafica del quarto album della Premiata Forneria Marconi, “L’isola di niente” (1974).

L’artwork ci mostra il disegno di una verdeggiante isola tropicale, pronta a lasciare il posto, una volta estratta la busta col vinile, ad uno scatto della città di Hiroshima nel 1945.

Sulla stessa linea la copertina dell'album dei Midnight Oil  “Red Sails In The Sunset” (1984) per la quale l'artista giapponese Tsunehisa Kimura presenta un agghiacciante fotomontaggio della città di Sydney, devastata e craterizzata dopo un ipotetico attacco nucleare. 

Non casuale fu la scelta per il nome della band degli statunitensi Pollution, autori di tre album pubblicati fra il 1969 ed il 1972, due dei quali con le copertine a dir poco esplicite.

Quella dell’album targato 1971, opera di Gene Brownell, vinse un Grammy.

Pollution” (1972) è anche il titolo del secondo album di Franco Battiato, lavoro che portò con sé uno strascico di vivaci polemiche, comprese accuse a Battiato e a Gianni Sassi di essere dei “paraculi, venduti e servi delle multinazionali”

La fonte di tutto ciò fu la scelta di promuovere l’album attraverso Pollution 1972 – Per una nuova estetica dell’inquinamento”, un evento artistico rivoluzionario volto a stimolare la riflessione e sensibilizzare le persone sul tema dell’inquinamento. La performance multimediale ebbe luogo in piazza S. Stefano a Bologna, pavimentata per l’occasione con superfici ceramiche 33x33cm che riproducevano ognuna una zolla di terra (la stessa immagine che ritroviamo sulla copertina dell’album dove però appare con l’aggiunta di un limone “imbullonato” a terra).

I costi furono sostenuti dallo sponsor (le ceramiche Iris) e dal Comune di Bologna cosicché sia Sassi (curatore artistico della casa discografica di Battiato) che lo stesso Battiato, si sarebbero portati a casa un bel gruzzoletto (oltre che un bel po’ di pubblicità) ottenuto in parte con denaro pubblico.

Anni ’70, periodo in cui le case discografiche non lesinavano certo sulla realizzazione delle copertine, fra le altre quella per “Homecoming” (1972) degli America. La rodatissima coppia Diltz/Burden (responsabili di alcuni degli artworks più iconici del rock a stelle e strisce) lavorò su di una copertina apribile in tre pannelli, la cui importanza risiedeva, oltre che nella sua bellezza, negli spunti di riflessione che porgeva. Se il pannello centrale è occupato da un primo piano dei musicisti, quello di sinistra ci mostra le sagome dei tre e di due cavalli sullo sfondo di un tramonto mozzafiato, mentre sul pannello di destra la storia è di tutt’altro tenore. Non più natura incontaminata, bensì lo skyline di una metropoli avvolta nello smog e, sul crinale della collina che declina verso il mare, la chiara citazione di “End of the trail”, la scultura opera di James Earle Fraser. Nelle intenzioni dell’autore la statua, che ritrae un nativo ed il suo cavallo al limitare dell’Oceano Pacifico, voleva rappresentare la sofferenza e lo sfinimento di un popolo cacciato dalle proprie terre, chiaro atto d’accusa verso i bianchi e i danni causati dal loro insediamento ai danni dei nativi d’America.

A conferma della sua forza espressiva va ricordato che la stessa opera era stata citata l’anno precedente nella copertina di “Surf’s Up” (1971) dei Beach Boys, un album che affronta le preoccupazioni ambientali, sociali e sanitarie come mai i paladini della “surf music” avevano fatto in precedenza.

Da notare che la copertina interna dell’album degli America li vede ritratti in una foresta di sequoie, stessa scelta effettuata un anno prima dai Canned Heat per l’album “Future Blues”.

In quel caso lo scatto assumeva un significato ben più esplicito grazie a questa dedica che il chitarrista Alan Blind Owl Wilson fece alle foreste di sequoie della California e interamente riportata sul lato destro.

RACCOLTO SPAVENTOSO

Le sequoie delle foreste californiane sono gli esseri viventi più alti più vecchi e più belli della terra. Le sequoie dominavano le foreste dell’emisfero settentrionale al tempo dei dinosauri, quando non c’erano mammiferi, né fiori o foglie d’erba sulla superficie terrestre. La glaciazione sterminò gran parte dell’immensa foresta che copriva gran parte dell’Europa, dell’Asia e del nord America. Passeggiando attraverso le foreste di sequoie si fa un’esperienza unica. I raggi solari sono catturati dagli alberi ad un’altezza di cento piedi sopra il terreno e si frantumano in scintillanti minuscoli bagliori che scendendo fra i torreggianti alberi giocano sino a toccare il pavimento della foresta. Felci e fiori selvaggi si bagnano nel soffice splendore di migliaia mute lucenti macchie che tremolano fra gli alti rami degli alberi che oscillano maestosamente in un gentil vento. 2.000.000 di acri di foreste vergini salutarono la civilizzazione dell’uomo bianco in nord America. Negli ultimi 100 anni 1.800.000 acri sono stati tagliati e, dei rimanenti 200.000 solamente 75.000 sono attualmente preservati dalla devastazione nei parchi naturali. I rimanenti 125.000 acri di foreste saranno “raccolti” per farne un uso per il quale andrebbero benissimo anche altri tipi di alberi. Questo spaventoso raccolto sarà fatto entro i prossimi dieci anni.

A rendere ancor più toccante il tutto, Il 3 settembre del ’70 Alan Blind Owl Wilson venne trovato morto per overdose di barbiturici proprio ai piedi delle sue amate sequoie.

Lo smog e l’inquinamento dell’aria vennero portati in copertina dagli Zephyr nell’album “Going back to Colorado” (1971)

e, in maniera decisamente più incisiva, in quella di “Greetings from L.A.” di Tim Buckley. Il magnifico artwork ideato da Cal Schenkel ci mostra lo scatto di una Los Angeles immersa nello smog che, una volta aperta la copertina, si rivela essere una vera e propria cartolina, pensata per poter essere staccata e, ovviamente, compilata e spedita. Una volta tolta la cartolina il buco rimanente ci mostra la fotografia di un Tim Buckley alle prese con una maschera antigas, tematica ripresa anche sul retro sotto forma di ipotetici francobolli.

Pensando alla copertina di “The Good Earth” (1974) la Manfred Mann’s Earth Band escogitò una singolare iniziativa ecologista sottolineata dalla bucolica copertina, opera di Design Machine e Linda Glover. 

Non bastasse, la busta interna della prima stampa conteneva un coupon che, una volta compilato e spedito, trasformava l’acquirente del disco nel possessore di poco meno di un metro quadro di terreno situato a Llanerchyrfa nella contea gallese di Brecon. L’intento di preservare una zona di particolare interesse dal punto di vista naturalistico e storico fu raggiunto grazie all’adesione di migliaia di fans alla curiosa ed inedita iniziativa.

La più vicina ai giorni nostri fra le copertine con sensibilità ecologista risulta essere quella del primo album di Jamiroquai, “Emergency on Planet Earth” (1993), lavoro che ruota attorno alla consapevolezza ambientale oltre che esprimersi chiaramente contro ogni forma di guerra. 

Lo scarno bianco e nero del fronte viene letteralmente scalzato via dall’interno della copertina apribile, immagine realizzata da James Marsh che contribuisce a mettere in risalto l'affinità della band.

Nell’inserto troviamo una sorta di manifesto nel quale il leader Jay Kaye afferma senza mezzi termini: “Devo essere uno delle più fortunate persone vive, e di questi tempi non è affatto facile perché in giro per il nostro fantastico pianeta “il più pericoloso animale al mondo” continua ad uccidere il proprio fratello e la propria madre (terra)…”.

E via discorrendo, finendo col trattare temi come povertà, affarismo, terzo mondo, madre terra, terzo settore…

Ulteriore elemento di “piacere grafico” e di cura dei dettagli le quattro deliziose labels centrali raffiguranti animali a rischio di estinzione.