L'altra metà del Pop

L'emancipazione femminile rappresentata 
nelle più belle copertine dei dischi

di Paolo Mazzucchelli


“… i nuovi media consentono di gestire la comunicazione come un flusso continuo, di interagire con il pubblico in tempo reale mostrando l’artista in ogni momento della sua vita – da quello esaltante di un concerto a quello più banale della vita domestica – mentre l’immagine stampata della copertina rappresenta un “punto fermo”, un prodotto grafico destinato a durare nel tempo e a scandire in modo indelebile i momenti della sua carriera. Anche nel rapporto fra l’artista e il mondo esterno, nel suo modo di vivere la vita, di partecipare al dibattito sui temi del proprio tempo, i nuovi strumenti e quelli tradizionali agiscono in modo diverso. La comunicazione in rete consente la creazione di sodalizi più o meno durevoli, il monitoraggio dell’umore e della sensibilità del pubblico, la correzione in corso d’opera dei contenuti e dei registri comunicativi. All’opposto, l’immagine di una copertina contiene un messaggio univoco e assoluto, rivela un aspetto saliente della personalità e dell’indole dell’artista, lo collega al mondo in maniera più vincolante”.
 
Riprendo questo breve estratto dalla prefazione di Grazia Di Michele al mio lavoro “L’ALTRA META’ DEL POP – l’emancipazione femminile rappresentata nelle più belle copertine dei dischi” (Stampa Alternativa 2021), perché ritengo sia una delle chiavi di lettura del mio approcciare alla grafica applicata alle copertine dei dischi, approccio che da anni utilizzo per analizzare e divulgare questa forma d’arte. Perché di forma d’arte si tratta, oltre ad essere ovviamente un mezzo di espressione e comunicazione, prima destinato ad un pubblico più ristretto e poi ad una platea sempre più vasta. Come poteva non risultare stimolante l’invito rivoltomi qualche tempo fa dall’assessorato alle Pari Opportunità del comune di Brescia di realizzare una narrazione con la quale raccontare l’immagine femminile dal secondo dopoguerra ad oggi? Ne è così scaturita una ricerca che ha confermato, in primo luogo a me, quanto l’ambiente della musica pop rock, pur all’avanguardia rispetto alla società che lo circonda, sia un mondo a marcato “viraggio” maschile (e maschilista), un mondo  in cui la donna (artista o modella protagonista della copertina) viene spesso raffigurata con un unico sguardo, quello maschile, confermando così gli stereotipi che la vogliono ora angelo del focolare, timida teenager, ammiccante bellezza o bomba sexy.

Se l’immagine che ne viene data negli anni '40 e '50 è spesso legata ad una castigata sensualità o ad un ruolo di subalternità rispetto al contraltare maschile, nel decennio successivo, accanto ad una ripresa delle rivendicazioni femministe, si nota un primo smarcamento che, grazie soprattutto ai dischi del cosiddetto movimento “folk revival”, ci mostra una nuova prospettiva, più attenta alla figura di una donna protagonista, non solo della copertina, ma anche delle proprie scelte artistiche.

Dagli anni Settanta la lotta per l ’emancipazione e la rivendicazione di reali pari opportunità tra donne e uomini in ambito, lavorativo, politico, sociale o famigliare, si fa sempre più presente e pressante.  I movimenti femministi, pur nelle loro differenze, contribuiscono a dare una nuova impronta alla società, favorendo un cambiamento rintracciabile anche nell’arte delle copertine: si deve però porre molta attenzione a non scambiare per emancipazione ciò che in realtà ha più a che fare con un cambiamento dei costumi, del comune senso del pudore o di mere strategie di marketing. Non va dimenticato che le copertine dei dischi rappresentano sia un importante elemento di promozione del prodotto nelle mani delle majors ma, allo stesso tempo, anche un’ottima opportunità per gli artisti più sensibili di inviare messaggi ben precisi.
Chance colta appieno dalle “ragazze” dell’ondata punk, pronte a tracciare nuove strade sonore e visuali, la cui eredità è rintracciabile nei dischi e nelle scelte di molte protagoniste della scena musicale negli anni ’80 e ’90.

Ed è proprio nei giorni migliori del punk di metà anni ’70 che il percorso di ricerca  mi ha messo di fronte di fronte ad una serie di considerazioni in merito al ruolo delle donne in questo particolare ambito: se è infatti vero che il punk ha letteralmente dato la stura ad una esplosione di creatività “al femminile” (concretizzatasi non solo nell’affermazione di carismatiche band leaders, ma anche nel lavoro di  critiche musicali, fotografe, grafiche,) è altrettanto vero (e stupefacente) quanto il lavoro di queste ultime sia stato (e sia tutt’ora) ignorato o, nella migliore delle ipotesi, sottovalutato.
Una volta scoperto, questo vaso di Pandora continua da mesi a riversare sulla mia scrivania storie artistiche di donne che, pur avendo realizzato alcune delle copertine più iconiche di sempre, sembravano destinate a rimanere nell’ombra, in una sorta di ingiustificabile discriminazione resa ancor più incredibile in quanto maturata in un “mondo” (quello musicale) che ha contribuito in maniera importante sia al cambiamento dei costumi così come alla conquista di importanti traguardi quanto a diritti civili per tutte e tutti.
E allora viene da chiedersi a cosa siano serviti impegno, rivendicazioni, battaglie per le pari opportunità ed i pari riconoscimenti se persino in un ambito artistico/culturale come quello legato alla musica pop-rock, il ruolo determinante assunto da decine di donne non venga evidenziato, analizzato o, come accade per alcuni colleghi maschi, celebrato. Eppure basterebbe guardare le opere di creative come Vanda Spinello, Jery Heiden, Teresa Alfieri, Gil Funccius, Claudia Pajewski, Manuela Di Pisa, Paula Scher (solo per citarne alcune) per rendersi conto di come la loro sensibilità, il loro background artistico ed umano, le loro intuizioni, la loro spinta innovativa abbiano consegnato nelle nostre mani autentiche opere d’arte, segni grafici, messaggi entrati di diritto nella storia della musica e della società degli ultimi 60 anni. 
Di strada ne è stata fatta indubbiamente tanta, ma l’impressione è che ne manchi ancora parecchia.