Musica e icone industriali
di Paolo Mazzucchelli
INDUSTRIA: Il termine industria (dal latino industria (-ae), a sua volta di etimologia incerta, che significa "operosità" e "attività") viene utilizzato in senso lato per indicare qualsiasi attività umana che viene svolta allo scopo di generare beni o servizi. (Enciclopedia Treccani).
Il tema di questo numero quindi si presta a numerose chiavi di lettura, sfumature e declinazioni, partendo magari calla cosiddetta “architettura industriale”; esempi in tal senso se ne possono trovare diversi, alcuni dei quali divenuti nel tempo vere e proprie “icone rock”, a partire dalla centrale elettrica di Battersea che fa bella mostra di sé sulla copertina di “Animals” dei Pink Floyd, ben più impressa nelle nostre menti che non Algie, l’altrettanto famoso maiale gonfiabile protagonista di una serie di spericolate peripezie nei cielo di Londra.
Pochi anni più tardi sarà la volta degli scozzesi Big Country e della copertina di “Steeltown”, con quel disegno (opera di Jeremy Byrd) che tanto ricorda certa grafica propagandistica d’oltre cortina.
In tempi più recenti sarà la musicista e grafica Atina “Mattiel” Brown ad ornare la cover del suo “Satis- Factory” con un impianto industriale
così come i Black Keys e la loro “Rubber factory”,
chissà, forse ispirandosi entrambi a quello apparso sul finire degli anni 80 sul meraviglioso album “Buzz factory” dei connazionali Screaming Trees, con quei colori disturbanti, a ricordarci dell’impatto sull’ ambiente di una sfrenata industrializzazione.
Reminescenze psichedeliche profumano la copertina dell’unico (ed omonimo) album del supergruppo di fusion polacco/statunitense Funk Factory
mentre è una fabbrica terrificante quella che custodisce il cd “Industrie” del performer Willem Witte, con la sua somiglianza ad una vera e propria macchina da guerra;
il colore rosso sulla copertina di “Industria 2000” (progetto di musica sperimentale pubblicato nel 1974 da Jarrell, vero oggetto di culto per i collezionisti) invece ci ricorda come i macchinari si ricoprano (ancora troppo spesso) del sangue di chi ci lavora.
Sempre nell’ambito della musica d’avanguardia va ricordata l’opera di Luigi Nono “La fabbrica illuminata” e i molteplici artworks con cui è stata pubblicata
in giro per il mondo.
La fabbrica entra nella copertina di un disco che ci racconta di come il jazz sia a sua volta entrato in fabbrica
così come la musica leggera entra in questa compilation (curata dalla RCA) che prende il nome proprio dall’indirizzo ove erano situati gli stabilimenti della storica casa discografica italiana.
Se gli Screaming Trees intitolavano il loro lavoro al “ronzio della fabbrica”, il loro predecessore può essere considerato il compositore arrangiatore Alessandro Alessandroni col suo “Il ritmo dell’industria” dalla grafica sgargiante (del resto siamo nel 1969), lo stesso anno in cui Luigi Giudici pubblicava il suo 7” “Itinerario industriale”, entrambi affascinati dai suoni, rumori e ritmi prodotti dalle attività lavorative.
L’interno della fabbrica ci viene mostrato dal Lp “Nel mondo del lavoro” l’album del 1972 di Rino De Filippi (altra chicca ambita dai collezionisti), o in maniera più “moderna” dagli svedesi Factory.
Chi non ricorda i surreali artworks che impreziosiscono due album importanti nella storia del rock come “Cosmos factory” del Creedence Clearwater Revival e “Shoot out at the fantasy factory” dei Traffic in cui la fabbrica invece risulta essere più un concetto astratto da costruire con l’aiuto della nostra fantasia?
Quella fantasia di cui non abbiamo bisogno di fronte alla copertina degli Area, capace di riportari coi piedi per terra nel ricordo, oltre che del dramma dell’olocausto, della logica mistificatrice del lavoro visto come liberazione.
Cosa sarebbe l’industria senza il fattore umano? Ecco quindi rappresentato anche il lavoro, quello fatto anche fatto di canti ed orgoglio operaio
di emigrazione e di lutti
di lotte
o di fatica e sudore, come in questo meraviglioso lavoro di Cesare Monti e Vanda Spinello per Angelo Bertoli.
Sarà il tastierista dei Talking Heads Jerry Harrison, giunto con “Casual Gods” alla seconda prova come solista, a sbatterci in faccia la dura realtà della sfruttamento, dei lavoratori quanto del nostro pianeta, grazie agli strepitosi scatti realizzati dal fotografo brasiliano Sebastião Salgado nella miniera d'oro di Serra Pelada.