Viaggi spaziali

Intervista a Emanuele Menietti

(a cura di Monica Pierulivo)

 
Viaggiare nello spazio ha sempre rappresentato una frontiera nella storia dell’uomo, dal punto di vista fisico e dell’immaginario. Esattamente 55 anni fa, il 20 luglio del 1969, l’Italia era davanti alla televisione per la mondovisione del primo sbarco sulla Luna di un essere umano.

Dopo questo risultato non siamo più riusciti a tornare sul suolo lunare e la percezione è che oggi sembri più difficile farlo rispetto a quell’epoca.

È proprio così?
 
Quando siamo andati sulla Luna la prima volta tra la fine degli anni ‘60 e anni ‘70 eravamo in un contesto molto diverso, di Guerra Fredda, di competizione molto serrata tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica e questo spingeva a uno sviluppo molto forte, anche per ragioni di propaganda, nel settore dello sviluppo tecnologico e scientifico, che poteva essere utilizzato anche in contesti di guerra.
Una motivazione che stimolava le attività di ricerca anche nel settore missilistico perché alla fine un razzo spaziale è un grosso missile e queste tecnologie avevano anche delle ricadute belliche.  C’era la necessità di avere a disposizione dei missili intercontinentali che potessero trasportare le testate atomiche da una parte all’altra del mondo in pochi minuti, nel caso in cui una delle superpotenze attaccasse l’altra.
In quel momento dimostrare di poter raggiungere per primi un corpo celeste diverso dal nostro aveva un impatto molto forte dal punto di vista dell’immagine e della propaganda.
 
Adesso la situazione è cambiata anche se negli ultimi anni, con la guerra in Ucraina stiamo assistendo a una nuova polarizzazione che, oltre a Russia e Stati Uniti, vede anche un altro concorrente da non sottovalutare: la Cina. I programmi delle esplorazioni spaziali della Cina per la Luna sono molto avanzati; i Cinesi sono già riusciti a compiere diverse missioni lunari con il loro programma Chang’e ha previsto l’arrivo sulla Luna di diversi lander a alcuni rover, cioè robottini che possono muoversi sulla superficie lunare. Si tratta in ogni caso di missioni senza equipaggio, ma tutte preparate con l’obiettivo di poterci tornare con degli astronauti.

Per quanto riguarda l’Occidente, quello che stiamo cercando di fare adesso è il passo successivo rispetto a quello degli anni ‘60 e ‘70, cioè realizzare una piccola stazione orbitale intorno alla Luna, il cui nome è Gateway  e che era inesistente al tempo delle missioni con l’Apollo, finalizzata a consentire agli astronauti di andare e venire dal nostro satellite molto più facilmente. All’epoca per andare sulla Luna veniva usato un razzo gigantesco utilizzabile solo una volta, che poi andava ricostruito.
Invece adesso l’obiettivo è passare a sistemi che siano quasi completamente riutilizzabili . Non è una sfida da poco e coinvolge anche Elon Musk con la sua Starship, una gigantesca navicella spaziale che i tecnici di SpaceX (Space Exploration Technologies Corporation) stanno sperimentando dal Texas.

A proposito di Starship, l’obiettivo non è solo il ritorno sulla Luna, ma anche quello di raggiungere Marte. É un tema che avete molto approfondito con i podcast del Post “Ci vuole una scienza”.

In realtà oggi l’intero programma di esplorazione lunare è molto più complesso rispetto a quello delle missioni Apollo. Non era semplice nemmeno all’epoca, però in quegli anni tutto veniva lanciato su un unico razzo che arrivava sulla Luna dove alcuni dei moduli che erano spinti dal razzo si distaccavano e si ricomponevano in modi diversi, per raggiungere il suolo lunare, oppure per tornare in orbita intorno al nostro satellite e poi di nuovo sulla Terra.
Il grande sviluppo che c’è stato negli ultimi 15-20 anni, è stato il passaggio da un sistema dove ogni volte che si andava in orbita si utilizzava un razzo diverso che si distruggeva dopo l’usp senza possibilità di poterlo riutilizzare, come se tu dovessi andare in aereo da Milano a Roma e ogni volta l’aereo dovesse essere distrutto; adesso invece, grazie soprattutto a SpaceX , si sta passando a sistemi dove buona parte del razzo può essere riutilizzata abbattendo molto i costi. Questo sta aprendo grandi possibilità. La sfida è cercare di replicare quel modello anche per iniziative spaziali su scale molto più grandi come appunto raggiungere la Luna.
Con una stazione orbitale che dovrebbe rimanere permanente la Nasa ha sviluppato il programma lunare Artemis che è in corso da diversi anni e che prevede l’arrivo sulla Luna degli astronauti. Il sistema di lancio dalla Terra alla Luna che verrà utilizzato da Artemis non sarà quello di Elon Musk. Quest’ultimo infatti si dovrà occupare, almeno in queste fasi iniziali, del viaggio dall’orbita della Luna alla Luna. Per fare questo verrà utilizzato Starship.  La Nasa ha stipulato un contratto di diversi miliardi di dollari con Musk per fare arrivare Starship fino alla Luna, permettere il suo collegamento con gli strumenti che saranno in orbita intorno al satellite e poi scendere sul suolo lunare.
Starship ha realizzato fino a oggi quattro voli sperimentali; al momento ha raggiunto l’ambiente spaziale ma non ha mai completato un’orbita intera della Terra; questi lanci hanno permesso comunque di sperimentare sia il “lanciatore”, che è un razzo molto grande posto sotto l’astronave vera e propria, sia l’astronave stessa.
Nell’ultimo test, l’astronave è anche riuscita a rientrare arrivando integra fino all’oceano, anche se siamo ancora lontani dall’obiettivo di farci salire delle persone a bordo.
Per quanto riguarda Elon Musk, la sua idea finale è che questa astronave serva per colonizzare Marte, nella convinzione che la nostra specie debba diventare una specie multiplanetaria. Secondo Musk infatti, Marte è il posto più praticabile perché effettivamente è l’unico pianeta roccioso che ha elementi in comune con la Terra.

Pensi che sia realistica questa prospettiva di colonizzazione di Marte?

È molto difficile che si riesca a raggiungere questo pianeta con una missione di breve durata, è infatti una missione che richiede mesi, se non anni, anche perché implica il fatto di viaggiare nel cosiddetto “spazio profondo”, ben oltre l’area dove il campo magnetico terrestre offre qualche protezione. È già molto complicato raggiungere il suolo marziano con i robottini a causa delle forti turbolenze e le difficoltà che si creano a causa della rarefazione dell’atmosfera all’ingresso de suolo, figuriamoci per gli esseri umani. Prima o poi succederà secondo me, ma tra qualche decennio.
La NASA da diversi anni ha avviato dei progetti legati anche a simulazioni su come si vivrebbe su Marte. Quattro ricercatori (due uomini e due donne) per un anno vivranno come se si trovassero su Marte, all’interno di una base stampata in 3D. C’era un bellissimo articolo sul New York Times di poco tempo fa che raccontava proprio queste esperienze, una specie di Grande Fratello per capire anche quali sono le difficoltà maggiori dal punto di vista psicologico. Immaginare che le persone stiano nello stesso ambiente, recluse su un’astronave che viaggia nel vuoto verso un punto lontano provoca un carico psicologico non indifferente, come è facile capire.
Sulla possibilità di colonizzazione di Marte, obiettivo di Musk, che vorrebbe rendere questo viaggio accessibile a tante persone in una volta sola come una sorta di volo di linea, ritengo che sia un obiettivo più vicino alla fantascienza che alla realtà, per il momento.

Oggi si parla di turismo spaziale, credi che questo possa avere uno sviluppo?

Il turismo spaziale c’è già da qualche anno nelle strette vicinanze del nostro pianeta. La Blue Origin che è la compagnia spaziale di Jeff Bezos, fondatore di Amazon, utilizza un razzo molto più piccolo rispetto a quello che si usa per andare in orbita e che conduce i viaggiatori giusto sopra la linea che convenzionalmente fa iniziare lo spazio, che è a circa 100 km di altitudine. A questa altitudine si iniziano a vivere gli effetti della microgravità con l’effetto del galleggiamento ecc. Le persone che partecipano a queste esperienze, in genere piccolissimi gruppi, possono rimanere tre o quattro minuti in una piccola capsula che poi procede favorendo l’atterraggio dei viaggiatori con il paracadute. Per fare questa esperienza quelli che possono farlo spendono diversi milioni di dollari. Si tratta comunque di un ambito che ha una certa richiesta e che potrà crescere man mano che diventa più accessibile.

Viaggiare nello spazio significa offrire servizi necessari nella vita di tutti i giorni. Starlink ne è un esempio, garantisce l’accesso a Internet anche in luoghi che non hanno questa possibilità (zone di guerra ecc.)

Certo, se vogliamo vederla ancora più dall’alto, quasi tutti i satelliti che sono in orbita offrono un servizio per noi. Dai satelliti osserviamo la Terra come non abbiamo mai fatto prima e quindi capiamo molto di più sul cambiamento climatico, sulle previsioni meteorologiche, offrendo anche tutta una serie di servizi, Gps, Internet ecc. Queste tecnologie esistono da quando molti di noi sono nati, le diamo un po’ per scontate, altre si fanno notare di più. Starlink si fa notare perché sono satelliti più piccoli, costellazioni di satelliti che girano intorno alla terra a quote molto più basse.
Sono visibili spesso; soprattutto nei luoghi senza inquinamento luminoso, può capitare di vedere un trenino di luci che si sposta, affascinante; questo non rende tanto contenti gli astrofili e gli astronomi perché in alcuni casi queste lucine disturbano l’osservazione. Ci sono state anche un bel po’ di polemiche e man mano che diventerà sempre più affollato il nostro sistema spaziale di problemi ce ne saranno, non solo scientifici ma anche politici, lo spazio non è di nessuno fino a prova contraria ma forse prima o poi dovrà essere regolato. Un po’ come lo spazio marino.
 
Quanti sono i satelliti attivi nello spazio?
 
Ce ne sono molti per scopi civili ma anche militari e quindi in questi casi sono coperti da un certo riserbo. Sono però nell’ordine di diverse migliaia. Di attivi tradizionali fino a seimila, quelli delle telecomunicazioni, Gps, quelli di Starlink più piccolini sono altre migliaia. Insomma sono molti, difficile sapere il numero esatto.
 
Che impatto hanno nella produzione di gas serra?
 
L’impatto maggiore da considerare è per la loro produzione, quando sono in orbita non hanno nessun impatto perché si trovano a un livello tale sopra l’atmosfera che non influiscono e anche quando vengono decommissionati, cioè quando hanno finito il loro ciclo di vita e devono essere smaltiti, vengono fatti entrare nell’atmosfera e vengono vaporizzati senza creare particolari problemi dal punto di vista della produzione di gas serra o comunque con una produzione irrilevante rispetto a tutte le attività che abbiamo sulla Terra. Lo stesso vale anche nel momento in cui vengono lanciati, in quella fase c’è una produzione maggiore di gas serra e anidride carbonica ma è del tutto secondaria rispetto a quello che si produce quotidianamente sulla Terra anche solo nel settore aereo.