Abitare la città

 Promuovere il cambiamento partendo dai bambini 

Intervista a Federica Cicu

L’abitare implica la capacità di stare nei luoghi e nelle situazioni, di esplorarli, di soffermarsi su di essi con la presenza del corpo, delle idee, dei pensieri e delle emozioni. I bambini, attraverso l’esplorazione e la conoscenza degli spazi dei loro quartieri e delle loro città, riescono ad adattare lo spazio che li circonda alla misura del loro corpo e delle loro necessità, indubbiamente diverse da quelle di un adulto, vivendo in prima persona la gioia e la curiosità della creazione, della riappropriazione e condivisione del mondo, la conferma e la meraviglia di esserne parte e di prenderne cura.
Ne parliamo con Federica Cicu, coordinatrice del progetto Abitare la città, avviato nel 2021 a Milano coinvolgendo sette classi di due scuole primarie dell’Istituto “Antonio Scarpa” di via Clericetti e via Pini, zona Lambrate, e realizzato con il coinvolgimento di insegnanti, genitori e abitanti del quartiere.

Come è nato questo progetto e in quale contesto?
Io sono una psicomotricista in ambito terapeutico ed educativo e faccio parte dell’associazione culturale Caracol con la quale lavoro da anni promuovendo progetti con le scuole primarie e dell’infanzia nell’ambito della formazione.
Dopo la pandemia abbiamo sentito l’esigenza di avviare una grossa riflessione sul tema degli spazi, soprattutto di quelli esterni, per cercare di reagire anche al lungo periodo di segregazione e chiusura che avevamo vissuto e ritrovare un equilibrio in questo.
Nel novembre 2020, durante la fase pandemica, abbiamo quindi organizzato un convegno in collaborazione con il Movimento di Cooperazione Educativa e con l’Università Bicocca, al quale abbiamo invitato a partecipare Francesco Tonucci, fondatore del progetto internazionale “La Città delle bambine e dei bambini”, altri docenti universitari e non solo. È stato interessante perché abbiamo messo a confronto diverse professionalità sul tema degli spazi pubblici, architetti, urbanisti, pedagogisti ecc. Da lì in poi mi sono appassionata a questi temi e ho cominciato a ragionare sulla possibilità di proporre un progetto in linea con la filosofia della ricerca partecipata, legata a una maggiore consapevolezza degli spazi vissuti nella vita quotidiana, uscendo anche dalle cornici del mio campo. In particolare, abbiamo pensato a un progetto di cittadinanza attiva a partire dalla percezione corporea, che abbiamo pensato e realizzato insieme alla Cooperativa Spaziopensiero, che si occupa di progettazione partecipata, all’associazione Caracol di cui faccio parte e all’associazione Codici che si occupa di ricerca sociale. Parallelamente, ha lavorato con noi anche l’associazione di architetti e urbanisti Hypereden, molto coinvolti sin dalle fasi laboratoriali ma che, soprattutto in questo secondo anno di progetto, ci sta aiutando moltissimo a realizzare gli obiettivi che ci siamo posti.
Abbiamo quindi iniziato a lavorare nel novembre 2021, coinvolgendo le due scuole con le quali lavoravamo da anni potendo usufruire di un finanziamento biennale della Fondazione di Comunità Milano, ottenuto attraverso la partecipazione a un bando pubblico.
 
Qual è l’idea che sta alla base del progetto e come si è sviluppato?
Partendo dalla percezione dei luoghi sulla base delle esplorazioni sensoriali e corporee, l’obiettivo è quello di intrecciare le necessità e i desideri dei bambini e delle bambine per immaginare possibili trasformazioni, proposte di cura degli spazi urbani che partano dal loro punto di vista, facilitando anche l’incontro e la relazione.
Altri obiettivi generali sono l’individuazione di spazi pubblici da qualificare come aree all’aperto, dall’altra il tema dell’autonomia di movimento con la realizzazione di tragitti casa-scuola.
Da parte dei bambini e degli insegnanti è stato dimostrato molto entusiasmo sin dalle prime uscite. La prima parte del lavoro si è concentrata proprio sull’ esplorazione cittadina, conoscendo il quartiere attraverso tutti i sensi.
Il lavoro con i bambini è stato preceduto da momenti di formazione con gli insegnanti e incontri, molto importanti, con i genitori e con il territorio.
Durante la fase di esplorazione del quartiere sono nate delle mappe sensoriali realizzate dai bambini che contenevano gli elementi che li avevano maggiormente colpiti durante le camminate.
Mi sono inventata uno strumento versatile, il vagabanco, che non è altro che un porta blocco rigido per prendere appunti a cui ho aggiunto delle bretelle. Ogni bambino poteva così scrivere e disegnare, consentendo a tutti, anche ai bambini con più difficoltà, di poter realizzare dei lavori ed esprimere le proprie sensazioni e idee.
Abbiamo avuto insegnanti molto competenti e motivati e da questi lavori sono nati prodotti molto interessanti.

Un modo diverso di fare scuola, che unisce l’apprendimento alla stimolazione della curiosità, dell’osservazione e alla scoperta dei quartieri dove vivono
 
Una delle cose più belle di tutto il percorso sono stati gli incontri casuali con i cittadini. Un giorno abbiamo incontrato un signore che, rivolgendosi ai bambini, ha detto: se siete degli esploratori vi faccio scoprire un palazzo che contiene dei fossili. E questo è piaciuto molto e ci ha “costretti” a cambiare i programmi della giornata, scoprendo cose diverse che hanno entusiasmato. Anche l’improvvisazione può diventare quindi strumento di conoscenza e di stimolo.
Una volta, proprio durante l’uscita dedicata all’udito, eravamo nella zona di “Città Studi” e abbiamo incontrato un ricercatore che si occupava di paesaggi sonori, e che ha spiegato ai bambini che un ambiente inquinato da un punto di vista acustico si può facilmente riconoscere quando non riusciamo ad avvertire il rumore dei nostri passi.
E proprio in strada stavamo mettendo in atto una sorta di didattica itinerante; camminando con lentezza e aprendo i sensi nascevano un sacco di domande.
Da incontri casuali poi sono nate delle ricerche. La condivisione con l’insegnante presente a ogni uscita è stata fondamentale e ha consentito poi di rielaborare in classe tutto quello che era stato assorbito.
 
Camminate che servono per scoprire anche lo spazio pubblico quindi. L’aspetto esplorativo è quello predominante?
 
Dal mio punto di vista, la cosa interessante è stato iniziare dalle esplorazioni sensoriali che è il canale privilegiato dei bambini. Ma questo ha rappresentato il primo approccio all’ambiente esterno. Poi abbiamo proseguito con l’individuazione e la co-progettazione di due spazi, un cortile della scuola e uno spazio pubblico.
Dalla fase esplorativa siamo passati quindi a quella di progettazione partecipata gestita dalla cooperativa Spaziopensiero, più incentrata sul riflettere con i bambini sull’importanza degli spazi esterni come potenziali spazi di apprendimento
L’altro filone avviato è stato quello dell’autonomia di movimento e quindi dell’importanza di andare a scuola a piedi che ha riguardato soprattutto i bambini delle classi quarte. Dopo un momento iniziale  adesso sono una quarantina i bambini che vanno a scuola da soli e questo è il risultato di un grosso lavoro svolto anche con i genitori finalizzato sia a responsabilizzare sia promuovere comportamenti ecologici. Prossimamente il tragitto verrà reso visibile con l’installazione di alcuni arredi, una panchina e alcune pietre incastonate nel marciapiede che arrivano fino a scuola, e questo verrà realizzato in collaborazione e con il patrocinio del Municipio 3 di Milano.
 
Era la prima esperienza di questo tipo a Milano?
Sull’autonomia di movimento che io sappia è un’esperienza nuova, più diffuso è il Pedibus che è però diverso perché prevede comunque la presenza di adulti. Invece andare da soli è un po’ un esperimento coinvolgendo bambini delle classi quarte della primaria.

Come hanno vissuto il progetto i genitori? Ci sono state resistenze?
Andare a scuola da soli significa andare in gruppo con i compagni. I timori dei genitori ci sono stati, come è comprensibile. Abbiamo quindi creato una chat che possa diventare un confronto in itinere anche per far diminuire le ansie di alcuni.
Un limite è sicuramente rappresentato dal fatto che il ritorno in autonomia da scuola a casa è precluso da una legge che non consente alle scuole di far uscire da soli i bambini. Ma è comunque un risultato importante che il percorso di andata possa essere comunque in autonomia.
Interessanti anche i riscontri dei bambini che fanno questo tipo di esperienza. Uno di loro ci ha detto: “da quando ho iniziato ad andare a scuola da solo mi organizzo meglio”. E questo è molto bello . Così come è importante andare in giro per il quartiere con lentezza.
I bambini hanno narrato il tragitto da casa a scuola parlando di tutti i riferimenti che trovano: l’edicola , il bar, i negozi. Adesso il lavoro che faremo prossimamente sarà quello di contattare questi riferimenti che possono rappresentare luoghi “amici” lungo i loro tragitti. Sulla scorta del progetto di Tonucci, creeremo un logo che verrà apposto sulle vetrine in modo da costituire una sorta di riconoscimento, dove i bambini possono rivolgersi per ogni necessità. È anche un modo per creare comunità all’interno del quartiere.

Il progetto ha durata biennale e questo sarà l’ultimo anno. In quale modo potrà essere garantita la sua continuità?
L’idea che abbiamo, una volta concluso l’anno in corso, è quella di stipulare dei “patti di collaborazione”, creando una rete tra scuola, famiglia, associazioni del territorio perché si prendano cura anche dei tragitti. In questo modo, creando una rete con associazioni e cittadini del quartiere, faremo in modo che il progetto continui in maniera spontanea.

Come hanno accolto il progetto i bambini? 
All’inizio c’era chi diceva: ma questa non è scuola! Allora è stato interessante parlare con loro di come si possa fare scuola camminando nel quartiere. In generale ha prevalso sempre l’entusiasmo. 
Una bambina dopo varie uscite, continuava a scrivere sul vagabanco anche quando tornava in classe. 
“Con queste uscite è come se mi fossi abituata ad osservare” ha detto un’altra.  Durante le uscite i bambini si accorgevano anche di quello delle cose negative e allora con quelli più grandi, abbiamo organizzato incontro con assessore all’urbanistica del Municipio durante il quale i bambini hanno avuto l’opportunità di porre delle domande e di dare un contributo. 
Si tratta quindi di un approccio di pedagogia attiva, partendo dall’esperienza che in genere gratifica e stimola molti i bambini. 
Un lavoro complesso che coinvolge ambiti diversi e che si pone obiettivi come lo sviluppo della cittadinanza attiva partendo dal coinvolgimento dei bambini, la riscoperta e cura degli spazi pubblici, l’educazione all’osservazione e all’ascolto, il rafforzamento del senso di responsabilità sociale.