-Dal 31 marzo al 2 aprile si è tenuta, con un grande successo, la prima edizione in Italia del Festival di letteratura working class, organizzato dalle Edizioni Alegre al presidio (ex) Gkn di Campi Bisenzio. Alegre è stato il primo editore in Italia a inaugurare una collana dedicata alla working class affidata alla sua direzione. Cosa è la workng class oggi, cosa è cambiato da quando Bianciardi raccontava i minatori della Maremma e il lavoro nelle case editrici di Milano?
È cambiata molto ma nonostante i tanti funerali che le hanno fatto, la bara era sempre vuota. La classe operaia è ancora fondamentale: senza di lei le nostre città sarebbero ricoperte di discariche a cielo aperto. Però, tanto più è pervasiva, tanto più è resa invisibile. E devono negarle il diritto a esistere per sfruttarla meglio. Tanto più oggi che è una classe che è diventata ancora più ricca e stratificata, con sempre più donne e lavoratori e lavoratrici migranti.
-Parliamo delle scritture working class. Nel suo libro "Non è un pranzo di gala", fa una disamina molto interessante della storia dei contatti tra working class ed editoria. Negli anni 70 c’è un diffuso interesse nei confronti di questi autori, che si perde negli anni '80 e '90 nel momento in cui il concetto di “classe” comincia a venire meno.
Oggi si può parlare di un ritorno alla letteratura sociale e del lavoro?
Direi di sì. Da anni la realtà è tornata nella letteratura, dopo lustri di postmodernismo. Oltre alla realtà, è arrivato uno sguardo impegnato e progressista sulla realtà. Ma la letteratura working class vuole qualcosa in più: vuole che le persone cresciute nella classe lavoratrice si raccontino con le proprie parole, senza il filtro di intellettuali, megafoni, portavoce o altro. Per questo c'è ancora molto da fare ma di sicuro a partire dal 2019 in alcuni paesi ci sono opere di letteratura importante che segnano il passo. In Gran Bretagna sono innumerevoli, cito solo Douglas Stuart che vince il Booker Prize. In Francia c’è Joseph Ponthus con Alla linea, ma non dimenticherei il Nobel a Annie Ernaux, che pone la classe sociale al centro della sua opera. E qualcosa stiamo provando a fare anche in Italia. Non abbiamo i best seller ma abbiamo l'opera collettiva e solidale che ha creato, grazie al lavoro di tanti operai, il Festival di Letteratura Working Class.
-Il caso Gkn Driveline, filiale della GKN Automotive britannica, è riuscito a modificare qualcosa nell’immaginario collettivo sul lavoro?
Lo dico sempre che loro in sei mesi di mobilitazione hanno fatto per l'immaginario di classe lavoratrice più di quello che io ho potuto fare in dieci anni. Perché io lavoravo da solo, da scrittore, e quindi da borghese; e loro hanno lavorato da operai, ossia tutti assieme. E hanno fatto più strada di me in meno tempo. Sono stati meravigliosi.
-Non ci possono essere lotte operaie che non siano anche lotte di donne o di razza e per l’identità. Oggi quanto è importante adottare un'ottica di intersezionalità per affrontare questi temi?
Credo sia fondamentale. E bisogna avere il coraggio di ammettere che molto spesso in questo continuo evocare il termine "intersezionalità" la classe rimane fuori dalla porta. Serve un femminismo di classe operaia per avere una vera intersezionalità. Per questo bisogna potenziare le donne lavoratrici nei movimenti, senza parlare al loro posto.
-Quale è il ruolo delle donne in questo tipo di letteratura oggi?
Soprattutto in Gran Bretagna è in primo piano. Gran parte della letteratura working class anglofona oggi è scritta da donne. Soprattutto sono voci di donne traumatizzate da patriarcato e capitalismo, che espongono le ferite di classe. Anche da noi in Italia abbiamo autrici molto interessanti, come Simona Baldanzi o Pia Valentinis, ma dobbiamo fare di più. Il prossimo libro della mia collana Working Class sarà scritto da una donna di classe operaia. Speriamo di chiuderlo a breve, per averlo in libreria a febbraio.
-Da anni si dice che la classe operaia non esiste e da anni muoiono almeno tre operai al giorno. La letteratura può servire a ricreare un immaginario che concorra a rafforzare una sensibilità su questo tema così importante?
Certo. Scriviamo per dare luce a uno spazio di invisibilità che è la classe. E il tema delle morti sul lavoro, o degli infortuni, o delle ferite di classe, è centrale. Però le nostre storie sono tenute ai margini. Anche per questo rivendico il fatto di aver ripubblicato Amianto con Feltrinelli. Dobbiamo prenderci il centro della scena perché le nostre storie, le nostre vite, sono fondamentali. C'è un operaicidio in corso e ancora ci dicono che gli operai non esistono più. È una vergogna, dobbiamo riprenderci la scena, dobbiamo riprenderci le nostre parole. Come abbiamo fatto con il Festival di letteratura working class.
-Anche la disoccupazione intellettuale oggi rientra tra i casi di sfruttamento del lavoro e si può definire in un certo senso working class?
Non è lavoro manuale e io che ho fatto per dieci anni lavori manuali mi sento privilegiato a lavorare nell' industria del libro. Immagino che chi venga dalla borghesia e grazie ai salari da fame dell'editoria si scopra in corso di proletarizzazione la viva diversamente, con un senso più vittimario. Ma il punto non è sentirsi o meno vittime: il punto è scoprirsi lavoratori e lavoratrici in comune, soggetti/e a pratiche di sfruttamento intensivo. Bisogna imparare dalla solidarietà della classe operaia e portare il conflitto nell'industria culturale.
-L'editoria è pronta ad accogliere queste nuove narrazioni?
L'editoria pubblica tutto quel che può vendere, sostanzialmente. Sta a noi incunearsi nelle pieghe dell'editoria, trovare spazi per salire sulla ribalta, illuminare coni di lice da usare come palchi per fare spazio a persone working class dentro all'industria del libro. Solo così avremo una industria più inclusiva, meno elitaria, meno idealista. Dobbiamo crearci un pubblico, tessere alleanze tra classe lavoratrice e settori più proletarizzati e inclusivi della classe media, lavorare tra industria e accademia. Dobbiamo fare convergenza culturale per ritagliare uno spazio per la working class nella cultura italiana contemporanea.
-È già in programma la seconda edizione del Festival?
Certo, stiamo già lavorando. Tenetevi libere e liberi per metà marzo.