Gli animali specchio dell’umanità
di Fabio Canessa
Il lupo prepotente che divora il mite agnello, la volpe che definisce acerba l’uva che non riesce ad afferrare, la rana che si gonfia per essere grossa come il bue e scoppia. Nelle favole di Esopo e Fedro gli animali sono maschere trasparenti degli uomini, allegorie espressioniste dei nostri caratteri. Il Medioevo così affascinato dalla magia e ammantato di sacro mistero da scorgere “in ogni ombra umana che si allontana qualche disturbata divinità”, vede negli animali Dio (la colomba) e il Diavolo (il serpente), oppure i peccati, come dimostrano il leone, la lonza e la lupa del primo canto della Commedia, cioè la superbia, la lussuria e l’avidità che impediscono a Dante di uscire dalla selva oscura.
Per sapere che cosa significasse ogni animale c’erano i Bestiari, incantevoli enciclopedie fantasy illustrate da preziose miniature, schedari morali che associavano virtù e vizi al cane e al coniglio (emblemi ancora oggi della fedeltà e della fecondità) ma anche a esseri immaginari come il drago e l’unicorno. Quell’unicorno che Marco Polo scrisse di aver visto in Oriente, per cui molti critici moderni accusarono “Il Milione” di essere un libro bugiardo, senza capire invece che il mercante veneziano, in buona fede, aveva scambiato il rinoceronte per quella bestia leggendaria.
Tartarughe, aquile e civette popolano le immagini di palazzi e chiese rinascimentali, spiegate dalla memorabile “Iconologia” secentesca di Cesare Ripa. Ma è solo con la sensibilità moderna che gli animali si scongelano dal rigido simbolismo e gli artisti sposano il loro punto di vista: il passero e le greggi di Leopardi, il cane Kastanka di Cechov, la scimmia di Kafka, le farfalle di Gozzano, il lupo Zanna Bianca di Jack London, l’asino di Jimenez, il falco di Arturo Loria diventano protagonisti di splendide parabole esistenziali.
Su tutti sarà Tommaso Landolfi a consacrare gli animali come vittime esemplari della sadica ottusità umana e del male universale: raccontare la loro morte, proprio perché essi della morte non hanno coscienza, significa toccare il vertice dello strazio, mettere a fuoco con violenza e tenerezza l’ingiustizia e l’insensatezza di ogni dolore. Se non siete delicatissimi di stomaco, non perdetevi capolavori come “Mani”, “Le due zitelle” e “La paura”. Chi invece preferisce testi meno impegnativi, si legga “L’onesto porco: storia di una diffamazione”, un divertentissimo pamphlet, colto e intelligente, nel quale Roberto Finzi elogia il maiale e lo difende, con argomentazioni formidabili, da tutte le calunnie che lo hanno ingiustamente infangato.