Il porto dell'immaginario

di Fabio Canessa

Se la navigazione è da sempre metafora del viaggio della vita, il porto non può che esserne l'approdo finale. Non solo e non tanto come placida rappresentazione della vecchiaia e della morte, ma soprattutto come esito, chiusura perfetta. Arrivare in porto significa soprattutto raggiungere l'obiettivo: dal momento che l'esistenza si configura come un percorso avventuroso gravido di minacce e di dolori, durante il quale la fragile navicella sulla quale viaggiamo rischia di naufragare, la vista del porto già ci riempie di gratificazione, facendoci intravedere la salvezza. Il porto è sinonimo di protezione, di liberazione dagli affanni e dai disagi di chi si sforza di mantenere la rotta durante la tempesta. Chi non salpa non vive, chi non ha il coraggio di tentare l'avventura per mare si priva delle emozioni di stare al mondo, impedendosi di conoscere se stesso e l'universo che lo circonda.
L'Ulisse di Omero, mito fondatore della cultura occidentale, ha come fine ultimo il ritorno a Itaca, ma l'imprevedibilità del fato gli riserva un'innumerevole serie di deviazioni, allontanamenti, tentazioni che lo separano da Penelope. Al punto che l'Ulisse di Dante non riesce ad acquietarsi nella propria casa e, pur vecchio e stanco, cede al richiamo della vita e dell'avventura, osando l'inosabile.
Una vita protetta non è degna di essere vissuta e la nostalgia del focolare domestico si nutre della continua minaccia di essere privati della dimensione familiare, in balia dei numi avversi. Il vero marinaio non può infilarsi le pantofole e abbandonare remi e vele per la poltrona e il telecomando.
 Meglio rischiare che la Provvidenza affondi con il suo carico di lupini e Bastianazzo affoghi piuttosto che rinunciare ad affrontare il mare aperto. Una vita viva è sempre un'odissea, per i flutti del Mediterraneo o tra le vie di Dublino poco importa.
Chi si sente, come Montale, "della razza che rimane a terra", ne serberà sempre il rimpianto e il rimorso. Ogni poeta concepisce la propria opera come un viaggio per mare e scorgere le banchine del porto vuol dire aver condotto a compimento la propria vocazione. La folla di illustri vip che attende l'approdo della nave in porto nell'ultimo canto dell'Orlando Furioso acclama l'abilità del nocchiero Ariosto, che è riuscito a chiudere il poema nonostante le spinte centrifughe del suo complicatissimo intreccio. Magari riuscissimo anche noi a terminare compiutamente le nostre vite prima che la morte le interrompa nel bel mezzo di una trama irrisolta e inconcludente. Una volta scesi a terra, l'avventura non è finita. L'atmosfera del porto non è quella dei sonnolenti e prevedibili quartieri borghesi: crocevia di popoli e destini, di arrivi e partenze, il porto è da sempre la vera società multietnica. Il suo fascino è quello dell'ambiguità, perché è luogo di incontri, regione instabile dell'effimero e del fortuito, perennemente mutevole. Vi sbarcano ciurme da tutto il mondo, nei suoi vicoli puoi trovare Braccio di Ferro e Corto Maltese, i marinai gay di Fassbinder e i pirati di Stevenson, Marlon Brando e Marlene Dietrich, gli eroi di Salgari e i mercanti di Boccaccio, gli ubriaconi tatuati e le puttane dal cuore d'oro, gli esploratori inglesi in cerca di tribù sconosciute e gli affaristi senza scrupoli, i pescatori di pesce e quelli di perle, gli illusi e i delusi, gli armatori miliardari e i reietti della società. Serbatoio dell'immaginario letterario, cinematografico e fumettistico, il porto è l'apprendimento della vita, la palestra del disordine sentimentale (avere una ragazza in ogni porto è il sogno di ogni marinaio) e la serenità della morte cui aspirava Ugo Foscolo ("e cerco anch'io nel tuo porto quiete").
Lo aveva capito bene Dante, che nel Paradiso definisce gli uomini come le creature che "si muovono a diversi porti/ per lo gran mar dell'essere, e ciascuna/ con istinto a lei dato che la porti". La rima equivoca ci ricorda l'affinità tra il porto e l'essere portati, o trasportati, ognuno verso il proprio approdo. A meno che l'ispirazione non ci destini verso il porto sepolto: quello, secondo Ungaretti, dove "vi arriva il poeta/ e poi torna alla luce con i suoi canti/ e li disperde".