Se una notte d'estate
di Elena Pecchia
Se una notte d'estate un viaggiatore...
viene interpellato per un articolo sul viaggio, partirà con una dotta disquisizione sulla peregrinazione infinita di Ulisse. Il versatile eroe si imbarcò per una guerra decennale e ci mise poi altri dieci anni a tornare dalla sua Penelope, ammesso che di dieci anni si parli o piuttosto di un tempo incommensurabile come potevano pensare i nostri antenati che, a stento, arrivavano al mezzo secolo. Con il suo nostos per mare comincia la nostra letteratura occidentale: Ulisse incontra sirene, maghe, morti viventi, mostri antropofagi e poi ormai vecchio riparte, come gli predice Tiresia nel Regno dei morti, fino a morire solo e stremato fra popoli che non conoscono il mare e scambiano il suo remo con un setaccio per la farina. E poi Enea, povero esule, un rifugiato in cerca di patria, che alla fine approda in Italia, a Pratica di Mare, portando via la giovanissima Lavinia al suo fidanzato storico per volere del fato. Ancora agli inizi del Trecento Marco Polo racconta nel suo Milione di essere arrivato fino in Cina in un viaggio che oggi sarebbe impossibile compiere tra stati canaglia e regimi islamici. Qualche secolo dopo gli eroi romantici, i wanderer, cercheranno in ogni dove il senso della vita, esuli e raminghi, disperati per amore e per passioni politiche. Poi ancora…
E invece no. Se fosse preferibile e, anzi, auspicabile per il benessere e la felicità individuale rimanere a casa nella propria comfort zone?
“Ti meravigli che, nonostante le tue peregrinazioni così lunghe e tanti cambiamenti di località, non ti sei scrollato di dosso la tristezza e il peso che opprimono la tua mente? Devi cambiare d’animo, non di cielo” ricorda Seneca al suo caro Lucilio (Epistola 28), continuando “puoi anche attraversare il mare, come dice Virgilio, ebbene i tuoi difetti ti seguiranno dovunque andrai”. Infine, lo scrittore filosofo rincara la dose: “Perché ti stupisci se i lunghi viaggi non ti servono dal momento che porti in giro te stesso? A che può giovare vedere nuovi paesi? A che serve conoscere città e luoghi diversi? È uno sballottamento che sfocia nel vuoto. Domandi come mai questa fuga nel vuoto non ti è utile? Tu fuggi con te stesso”.
Così Petrarca nella lettera più celebre di tutta la letteratura italiana, quella dell’Ascesa al monte Ventoso, si incammina con il fratello per salire in vetta; arrivato in cima legge in un libriccino un passo delle Confessioni del suo maestro spirituale, S. Agostino: “E vanno gli uomini a contemplare le cime dei monti, i vasti flutti del mare, le ampie correnti dei fiumi, l’immensità dell’oceano, il corso degli astri e trascurano se stessi”.
Del resto, Emilio Salgari non si mosse da casa sua per farci immaginare giungle e tigri di Mompracen mentre Ludovico Ariosto, che voleva stare in una villetta - parva sed apta mihi-, a Ferrara con la sua donna, ci porta in un viaggio sulla Luna dove in ampolle più o meno capaci si trova quel poco o tanto di cervello che si è perso nelle strade della nostra vita.
Per non ricordare Leopardi a cui bastò la siepe dietro casa sua per darci un’idea dello spazio infinito.
Il saggio insegna: l’unico viaggio che vale davvero la pena di compiere è quello dentro noi stessi o seguendo la nostra e l’altrui fantasia, ma se proprio siamo malati di attivismo possiamo prendere un bel libro e leggercelo in pace facendo qualche bella camminata nella natura, accanto a un corso d’acqua. Il miglior viaggio nel migliore dei mondi possibili.