L’albero nella poesia

da Virgilio alla Shoa

di Fabio Canessa

                 
L’albero più famoso della letteratura italiana è quello sul quale sale il dodicenne Cosimo per non mangiare le lumache servitegli a pranzo dai genitori e dal quale non scenderà più, trascorrendo l’intera vita a spostarsi da un albero all’altro.
È “Il barone rampante” di Italo Calvino, del quale si celebra quest’anno il centenario della nascita, e si tratta di un albero illuminista, del Settecento razionale. Invece gli alberi nell’immaginario letterario, pittorico e cinematografico rimandano per lo più a una dimensione prima bucolica (il grande faggio del Titiro di Virgilio) e poi romantica (il querceto spettrale di Caspar David Friedrich), fuse dalla poesia di Giovanni Pascoli. La storia più struggente è quella di una quercia all’ombra della quale Goethe era solito sedersi a scrivere e che, dopo la sua morte, gli fu dedicata dalla vicina città di Weimar: da allora fu chiamato l’albero di Goethe. Ma proprio su quel prato nel 1937 i nazisti costruirono il lager di Buchenwald, lasciando intatto l’albero per rispetto del grande poeta. Così la quercia che aveva ascoltato i versi di Goethe diventò il muto testimone degli orrori della Shoah e il tronco su cui si appoggiava il padre della letteratura tedesca si trovò avvolto dal fumo dei forni crematori.
Il contrasto tra la bellezza ariosa e selvaggia della natura e le pagine dei libri che caratterizza in genere l’idillio campestre, il tentativo di trasformare in melodie immortali i suoni incantevoli degli uccellini sui rami e dei ruscelli che animò la Pastorale di Beethoven e le Quattro Stagioni di Vivaldi, lasciano il posto alla pura tragedia. Una parabola storica devastante che spiega come mai, dopo gli alberi esaltanti di Walt Whitman e della Versilia di Gabriele d’Annunzio (il tronco di uno dei quali apre improvvisamente le palpebre e rivela di contenere una bellissima ninfa), arriva il mandorlo di Paul Celan, un poeta ebreo scampato al campo di concentramento dove fu fucilata la madre, uscitone con disturbi mentali e suicidatosi nella Senna: “Cosa c’è dietro il mandorlo?/ Nulla./ Non c’è nulla dietro il mandorlo”.