BLACKWATER, UNA SAGA FLUVIALE
L’acqua è all’origine della vita: Talete, il primo dei filosofi, la giudicava l’ἀρχή, cioè il principio primo, della realtà. Così come è all’origine delle grandi civiltà e città: il Nilo ha prodotto l’Egitto, il Tigri e l’Eufrate la Mesopotamia, il Tevere Roma, la Senna Parigi, il Tamigi Londra e l’Arno Firenze. Ma è anche all’origine della grande letteratura: l’Odissea di Omero e l’Eneide di Virgilio raccontano due viaggi avventurosi attraverso il Mediterraneo; per dare un’idea della imprevedibile casualità della vita Giovanni Boccaccio scrive la novella di Landolfo Rufolo nel Decameron, mentre il più grande romanzo americano è “Moby Dick” di Herman Melville.
Sacra generatrice di vita nei film di Marco Ferreri e minacciosa portatrice di morte nei naufragi di Gericault o con lo squalo di Spielberg, l’acqua è protagonista bifronte di “Blackwater”, una serie romanzesca scritta da Michael McDowell alla fine degli anni Ottanta e solo adesso tradotta in italiano per l’editore Neri Pozza.
Ambientata a Perdido, una cittadina dell’Alabama alla confluenza di due fiumi, la storia si incentra sull’improvvisa apparizione dalle acque della bellissima Elinor, creatura aliena saggia e terribile, metà donna metà mostro fluviale. Capace di esprimere tutta la potenza vitale sprigionata dall’acqua, quella putrida e rossa del pericoloso Perdido, quanto l’ancestrale e misterioso potere di essere in sintonia con la natura e manipolare gli elementi. McDowell, morto di Aids 25 anni fa, ne fa soprattutto una celebrazione della donna e della diversità molto in anticipo con la moda dei tempi. Fanno una bellissima figura anche gay, neri ed emarginati, ma niente e nessuno rappresenta la tremenda bellezza di essere diversi quanto l’ambivalente protagonista, abile imprenditrice capitalista e giustiziera della borghesia ottusa, sofisticata psicologa e cinica calcolatrice. Leggetevi i sei piccoli volumi di questa trascinante saga americana, un po’ “Via col vento” e un po’ Stephen King.