Bestie sacre
Il vivo del presepe
di Stefano Lucarelli
Diversi anni fa mi capitava nei giorni di Natale di essere ospite di una grande casa parentale dove la sera del 26 dicembre, da tempo, si allestiva il Presepe Vivente. L’intero paese vi partecipava e anche noi eravamo spesso coinvolti. Un appuntamento immancabile dentro un percorso preparato con cura dalle mani esperte di donne e anziane signore per il cibo e da quelle di falegnami, muratori e altri operai del luogo per le suppellettili.
Per un certo periodo sembrava si fosse fermato.
Ora, però, è tornato a far risuonare le sue zampogne in omaggio ad una tradizione tanto bella quanto vissuta.
Dalla finestra di casa sento battere chiodi e spostare grandi palanche di legno.
Sono i martelli che colpiscono afferrati da mani professionali.
Nel piccolo paese di Trivigliano, nella Ciociaria profonda, i carpentieri sono al lavoro dal mattino, stanno preparando le capanne e i recinti con i percorsi segnati del loro annuale Presepe Vivente.
Sarà pronto e finito per la sera stessa del 26 dicembre quando una folla di curiosi e di paesani aprirà le porte simbolicamente chiuse e sorvegliate da uomini in abiti da antichi romani, con elmo, mantello porpora e lancia.
Scendo le scale e nella grande cucina e assaporo il mio primo caffè.
Mi riaffaccio ascoltando il verso di alcune pecore e il grugnito di piccoli e scuri maialini.
Risalgo le scale, mi lavo velocemente e altrettanto veloce mi vesto.
Metto lo zuccotto in testa ed esco dal grande portone in fondo al cortile antistante alla piazza della Chiesa.
Qui, laboriose api vestite da operai, stanno finendo di sistemare le ultime parti di questa particolare ricostruzione scenografica di cui vanno orgogliosi.
Sotto la mia grande casa, in un’antica stalla per muli dove campeggia una meravigliosa pietra da macinatura a trazione animale, sarà allestita per accogliere il centro del centro del presepe: la grotta della natività di Gesù, con una giovane mamma a fare da Madonna, il suo piccolo nato da poco in quei giorni con l’aureola in testa, il suo babbo addobbato da San Giuseppe e, immancabili, l’asino e il bue.
Ogni anno si svolge una selezione vera e propria delle due bestie a fare compagnia e presenza durante tutta la scena disposta per gli avventori, i curiosi turisti e i sopraggiunti parenti.
Tra le famiglie di allevatori c’è un giro che permette a ognuno di loro questa occasionale e miracolosa visibilità. Ognuno di loro, appunto, propone qualcuna delle proprie bestie in grado di fare bella figura difronte al paese e, in particolare, difronte a tutta la gente che parteciperà.
Questa preparazione è illuminata dal linguaggio dialettale dei paesani, ai più incomprensibile.
Frasi veloci, puntuali, che emanano un sapore di antico ma anche di pratico.
Un lessico rapido da intendere per chi ne abbia orecchie già pronte.
Questa cosa mi colpisce più di tutto.
Si avverte il respiro delle pietre che tra le case, tornano a far rimbalzare, da una via all’altra all’interno del castrum centrale, l’antico verbo locale.
Qui il presepe si fa più vivente che mai.
Qui alcuni anziani commuovono il loro ascolto afferrando per un giorno quei dialoghi tornati a essere protagonisti del luogo.
Per questa ragione ancor più spirituale.
Intanto, dietro una litania di voci e zampogne, partita dalla porta dabbasso, si muove il piccolo corteo che accompagna i due principali animali verso la grotta.
Mansueti e puliti, arricchiti da pennacchi e da campanacci tra le corna giungono in piazza per la benedizione.
Siamo tutti lì, in quel momento, immobili anche noi con loro a ricevere il piccolo schizzo di sacro uscito dall’aspersorio del sacerdote in vesti sacre anch’esso.
Incrocio lo sguardo nobile del bue e lo ringrazio per la sua pazienza.
Lui inchina la testa, scuote tutti i campanacci tra le due maestose corna e si avvia precedendo il suo compare come una nuova versione de il gatto e la volpe di collodiana memoria.
A sera, le luci delle grandi torce a fuoco, illumineranno l’ingresso della stalla e l’arrivo della grande stella portata con le braccia alzate dai piccoli scugnizzi del posto con le cioce e le pelli di pecora indossate per l’occasione.
Mi sistemerò da una parte e lascerò il passo a tutti gli altri.
Cercherò ancora una volta lo sguardo delle due bestie che con i loro occhi finiranno per incrociare anche i miei.
Li saluterò alzando il cappello.
È Natale: anche la neve sta scendendo a saluto.